La parola ed il ricordo – a 40 anni dall’omicidio di Giorgiana Masi

La parola ed il ricordo – a 40 anni dall’omicidio di Giorgiana Masi

Siamo convinti che il ricordo e la parola siano, più di ogni altra cosa, atti partigiani: nel senso letterale del termine, di scelta -cosciente o meno- di una parte che vada ad informare la propria visione del mondo, che divenga poi base per qualsiasi prassi, che se moltiplicata esponenzialmente divenga prima politica, poi egemonia.
Abbiamo visto questo processo di politicizzazione, e militarizzazione, del ricordo e della parola, e lo abbiamo visto rivolto contro gli ideali che animano la nostra attività politica e l’azione della parte migliore di questo paese da decenni: abbiamo visto il degrado -concetto che si era ammantato, alla sua entrata in scena, di una veste di impegno civico, di partecipazione, di cura del bene comune- divenire l’unica categoria accettabile nella lettura dei processi sociali e delle migrazioni, fino a divenire spirito di legge e giustificazione per retate, violenze, disumanità.
Allo stesso abbiamo visto, nel progressivo affermarsi di quella lettura che, sui temi della gestione del dissenso e della diversità, ha unificato le maggiori forze politiche del paese, la chiave di volta ideologica di un disegno di delegittimazione non tanto di un mondo -quello degli ultimi, dei dimenticati, ma anche di tutti coloro che scelgono una parte nelle attività sociali, solidali, di prima e seconda accoglienza- quanto dei principi di umanità che vi sono alla base.
Per arrivare a provare il dolore e la vergogna, dopo aver visto la facilità con cui il massacro di una giovane donna di vent’anni e delle sue sorelline, di otto e quattro anni, nella narrazione pubblica non è riuscito a superare con la ferocia e la barbarie dell’uccisione, il dato dell’appartenenza a una comunità, quella Sinti, che può vantare di essere l’unica ufficialmente discriminata dalla nostra Repubblica.
Per arrivare al punto in cui l’uso egemonizzante di quel che si dice e non si dice, nella vita quotidiana, così come a mezzo dei principali organi d’informazione, diviene modo di riscrivere la storia, o meglio, le storie, spesso quelle per noi più dolorose: e capita di ritrovarsi, come è avvenuto ieri a Ponte Garibaldi, a ricordare una compagna ammazzata mentre da quel ponte scappava, e un lavoratore morto d’infarto mentre fuggiva da un controllo di polizia, giusto dall’altro lato del tevere.
Un’occasione, quella di ieri, per difendere l’uso di un ricordo e di una parola che sappiano portare con sé i valori e il pensiero necessari a ripartire: ricordare Nian, che dall’altra parte del Tevere si è accasciato mentre lo inseguivano, e dire che ne va della nostra dignità e del nostro futuro ricacciare ogni cedimento al razzismo, ogni cedimento a quell’ideologia del decoro che non fa che mascherare la lotta non alla povertà, ma al povero.
Ricordare, soprattutto, Giorgiana Masi, che quarant’anni fa “moriva, e su un ponte lasciò, lasciò i suoi vent’anni e qualcosa di più”, e ricordare che ad ammazzarla furono le forze dell’ordine che quel giorno sparavano su una manifestazione: per rispondere con il ricordo e la parola a chi -Cossiga prima, La Repubblica poi- ha dato spazio a ipotesi di fuoco amico, fino ad accusare di quella morte orrenda il compagno di Giorgiana.
Ricordare, anche per rifiutare di accettare che la storia divenga un omogeneo indistinto, per rifiutare la logica che vorrebbe con le parole tranquille della quotidianità appianare ogni diversità e nel far ciò celebrare la vittoria di una parte: per dire che le questioni sociali, le lotte per i diritti e la dignità, la vita di donne e di uomini profusa in quelle lotte, e la vita spezzata di quel giovane corpo -quel corpo di donna che oggi sarebbe ipocritamente trasformato in totem cui sacrificare la libertà in nome di decoro e sicurezza- sono troppo importanti per essere dimenticate, per non essere ricordate e dette con forza.
Lottando, e aspettando il giorno in cui potremo finalmente abbandonare la parola asfittica di questo tempo per tornare a parlare di vita e libertà, continuando a ripetere: Giorgiana vive!
Uni.Insur – Università Insurgente
Rimandato Causa Limitazione della Libertà di Espressione

Rimandato Causa Limitazione della Libertà di Espressione

A poco più di due settimane dai festeggiamenti della Liberazione, un nuovo episodio di limitazione della libertà di espressione e manifestazione si registra in quel di Roma3, nella facoltà di lettere e filosofia.

La Rete Antifascista Roma Sud, insieme al collettivo link degli studenti universitari, aveva organizzato per la giornata di domani, 11 aprile, l’iniziativa culturale al titolo “Italiani brava gente? Dall’Etiopia ad affile, Memorie di un’occupazione italiana” che avrebbe incluso la proiezione del documentario “If only I were that warrior” , vincitore del premio “imperdibili” del festival dei popoli 2015 e del premio best documentary 2016 globo d’oro, e a seguire discussione con il regista valerio ciriaci, Mulu ayele interprete del documentario e cristiana Pipitone, archivista.

Ma al neo eletto preside di facoltà Giovanardi, tutto ciò non andava bene, e i tentativi di ostacolarci nella costruzione dell’iniziativa sono iniziati fin da subito.

La prima scusa addotta è stata l’assenza di un docente interno all’università, in quanto della preparazione e professionalità dei nostri invitati all’illustre preside non poteva importare nulla.

Individuato il professor P.Mattera come docente interno, a cui rinnoviamo il nostro ringraziamento per la disponibilità e appoggio con il proprio intervento introduttivo, il preside sembrava avesse deposto l’ascia di guerra.

Ma così non è stato, a un giorno dalla data concordata, i compagni di link ci informano di un ulteriore ostacolo: Sanzioni disciplinari individuali e invalidazione della lista elettorale, quindi impossibilità per link di partecipare alle elezioni universitarie, nel caso di realizzazione dell’evento.

Ovviamente davanti una repressione di questo calibro, sostenuta non dal solo preside ma dall’amministrazione tutta della facoltà, non ci resta che rinviare l’evento.

Il regolamento dell ateneo prevede, in effetti, l’inammissibilità, per gli studenti che stiano concorrendo o meno alle elezioni, di organizzare iniziative di qualsiasi genere nei 60 giorni precedenti le elezioni.

Ma come mai di questo cavillo burocratico ce ne si è ricordati così tardi? E quali le ragioni di tutta questa severità nel minacciare sanzioni e imporre disciplina?

Sembra un po’ di respirare un aria viziata nelle facoltà di Roma Tre; evidentemente l’amministrazione universitaria ritiene sufficiente alla vita culturale le quattro mura della propria istituzione, un po’ come fosse la solita torre d’avorio, scordando invece quanto sia legata a doppio filo al territorio. Una scelta ottusa con una prospettiva molto ristretta e un’occasione persa per un dibattito di alto livello.

Forse parlare in un’università pubblica di antifascismo spaventa, forse ricordare diventa scomodo, forse per qualcuno è così.
Noi domani in facoltà ci saremo per rivendicare le nostre idee, più convinti e forti che mai, e per raccogliere le firme con gli studenti per la realizzazione dell’iniziativa al più presto.

Rete antifascista romasud