15Marzo Global Climate Strike – Pedalata per il Clima

15Marzo Global Climate Strike – Pedalata per il Clima

Siamo la generazione che si troverà ad affrontare gli aspetti più devastanti dei cambiamenti climatici e che ha più coscienza della crisi ambientale in atto, sentendo la necessità di prendere parola e mobilitarsi.

Il riscaldamento globale e la degradazione ambientale sono conseguenze di un modello economico fondato sulla logica della crescita illimitata e del profitto, su un intensivo sfruttamento di risorse e un consumo sfrenato. E’ necessario un ribaltamento dell’attuale sistema produttivo, una transizione che che tenga conto dei limiti fisici del Sistema Terra verso un modello di giustizia ambientale e sociale.

L’ultimo report dell’IPCC individua la soglia di circa 12 anni come tempo utile per una drastica riduzione del consumo di combustibili fossili per limitare l’aumento della temperatura media globale intorno agli 1.5°C. Le misure prese sia al livello nazionale che internazionale ad oggi sono ancora estremamente insufficienti e gli Accordi di Parigi non hanno ancora trovato un vero e proprio regolamento di attuazione. Anche l’attuale governo, in linea con quelli precedenti, si prefigge obiettivi estremamente blandi di riduzione delle emissioni e di cura dei territori, di fatto scaricando sulla nostra e sulle prossime generazioni le conseguenze di una politica irresponsabile.

In questo contesto la devastazione ambientale, la malagestione dei territori e l’inazione pubblica insistono tanto sulla natura quanto sullo spazio urbano. Vivere in una metropoli come Roma vuol dire vivere in un ambiente malsano ed inquinato. Dove la gestione dei rifiuti e la mobilità sono inefficienti ed inquinanti, prede di dinamiche di corruzione e speculazione, dove il verde pubblico viene svenduto per lasciare spazio a cemento ed ipermercati.
A farne maggiormente le spese in termini di qualità della vita, di accesso ai servizi e di salute, sono sempre le fasce più fragili della popolazione, in particolare chi vive nelle periferie.

Allo stesso modo questo sistema non risparmia i nostri luoghi del sapere, sempre più impoveriti e svuotati della loro funzione sociale e di trasmissione delle conoscenze. Criteri di produttività e di profitto vengono anteposti al bene comune e alla tutela dell’ambiente. Questo approccio porta inevitabilmente a un’incapacità da parte del sistema universitario e scolastico nel dare risposte concrete al cambiamento climatico.

Oggi l’umanità è posta davanti ad una scelta che determinerà il suo avvenire. Può fare una scelta responsabile e costruire un’alternativa ecologica a livello internazionale. Oppure rincorrere un modello produttivo energivoro, senza tenere conto delle le conseguenze ambientali e sociali, sulla salute come sui territori.
Noi vogliamo decidere sul nostro futuro e per questo non staremo a vedere.

È tempo di agire!

Partiranno due pedalate per il clima da Sapienza e Roma tre

Ci vediamo alle 10:00 alla Minerva della Sapienza!
Ci vediamo alle 10:00 a Roma Tre, facoltà di lettere!

Studenti della Terra

23 Marzo – Marcia per la giustizia climatica e contro le grandi opere

23 Marzo – Marcia per la giustizia climatica e contro le grandi opere

Centinaia di attivisti/e di comitati e movimenti che lottano contro il cambiamento climatico e le grandi opere si sono incontrati sabato 26 gennaio all’Università La Sapienza di Roma per una nuova assemblea del percorso che il prossimo 23 marzo culminerà con una grande manifestazione nazionale. Quello che segue è l’appello di questa manifestazione, emerso dalla discussione collettiva.

MARCIA PER IL CLIMA, CONTRO LE GRANDI OPERE INUTILI

Non serve il governo del cambiamento, serve un cambiamento radicale

#siamoancoraintempo

Chi siamo

Siamo i comitati, i movimenti, le associazioni e i singoli che da anni si battono contro le grandi opere inutili e imposte e per l’inizio di una nuova mobilitazione contro i cambiamenti climatici e per la salvaguardia del Pianeta. Abbiamo iniziato questo percorso diversi mesi fa, ritrovandoci a Venezia lo scorso settembre, poi ancora a Venaus, in Val Susa e in molti altri luoghi, da nord a sud, dando vita ad assemblee che hanno raccolto migliaia di partecipazioni. Siamo le donne e gli uomini scesi in Piazza lo scorso 8 dicembre a Torino, a Padova, Melendugno, Niscemi, Firenze, Sulmona, Venosa, Trebisacce e in altri luoghi.

Dall’assemblea di Roma del 26 gennaio lanciamo l’invito di ritrovarsi a Roma il 23 Marzo per una manifestazione nazionale che sappia mettere al centro le vere priorità del paese e la salute del Pianeta.

Grandi opere e cambiamento climatico

Il modello di sviluppo legato alle Grandi Opere inutili e imposte non è solo sinonimo, come denunciamo da anni, di spreco di risorse pubbliche, di corruzione, di devastazione e saccheggio dei nostri territori, di danni alla salute, ma è anche l’incarnazione di un modello di sviluppo che ci sta portando sul baratro della catastrofe ecologica.

Il cambiamento climatico è uscito da libri e documentari ed è venuto a bussare direttamente alla porta di casa nostra.

Nel nostro paese questa situazione globale si declina in modo drammatico. La mancanza di manutenzione delle infrastrutture, la corruzione e la cementificazione selvaggia seminano morti e feriti a ogni temporale, a ogni ondata di maltempo, a ogni terremoto.

Il cosiddetto “governo del cambiamento“ si è rivelato essere in continuità con tutti i precedenti, non volendo cambiare ciò che c’è di più urgente: un modello economico predatorio, fatto per riempire le tasche di pochi e condannare il resto del mondo a una fine certa. Le decisioni degli ultimi mesi parlano chiaro.

Mentre ancora si tergiversa sull’analisi costi benefici del TAV in Val di Susa, il governo ha fatto una imbarazzante retromarcia su tutte le altre grandi opere devastanti sul territorio nazionale: il TAV terzo Valico, il TAP e la rete SNAM, le Grandi Navi a Venezia, il MOSE, l’ILVA a Taranto, il MUOS in Sicilia, la Pedemontana Veneta, oltre al al tira e molla sul petrolio e le trivellazioni , con rischio di esiti catastrofici nello Ionio, in Adriatico, in Basilicata ed in Sicilia.

Giustizia sociale è giustizia climatica

Le catastrofi naturali non hanno nulla di naturale e non colpiscono tutti nella stessa maniera. Lo vediamo purtroppo quotidianamente e chi sta in basso, infatti, paga i costi del cambiamento climatico e della mancata messa in sicurezza dei territori.

È vero fuori dai grandi centri cittadini, dove la devastazione ambientale mangia e distrugge la natura, ma è vero anche negli agglomerati urbani, luoghi sempre più inquinati in cui persino i rifiuti diventano un business redditizio.

È vero non solo dal nord al sud dell’Italia, ma anche dal nord al sud del nostro pianeta.

Milioni di migranti climatici sono costretti a lasciare le proprie terre ormai rese inabitabili e vengono respinti sulle coste europee.

Nel nostro paese terremotati e sfollati vivono in situazione precarie, carne da campagna elettorale mentre le risorse per la ricostruzione non sono mai la priorità per alcuna compagine politica.

Quando le popolazioni locali, in Africa come in Europa, provano ad opporsi a progetti tagliati sui bisogni di multinazionali e lobby cementifere la reazione dello Stato è sempre violenta e implacabile.

L’unica proposta “verde” dei nostri governanti è di scaricare non soltanto le conseguenze ma anche i costi della crisi ecologica su chi sta in basso.

Noi diciamo che se da una parte la responsabilità di rispondere al cambiamento climatico è collettiva e interroga i comportamenti di ciascuno di noi, dall’altra siamo convinti che i costi della transizione ecologica debbano ricadere sulle spalle dei ricchi, in primis le lobby che in questi anni si sono arricchite accumulando profitti, a discapito della collettività e dei beni comuni.

Il sistema delle grandi opere inutili e il capitalismo estrattivo sono altrettante espressioni del dominio patriarcale che sollecita in maniera sempre più urgente la necessità di riflessione sul legame tra donne, corpi e territori e sarà uno dei temi portato nelle piazze dello sciopero transfemminista globale dell’8 marzo.

E’ giunto il momento di capire di cosa il nostro paese e il nostro pianeta hanno davvero bisogno.

Si potrà finalmente cominciare a dare priorità alla lotta al cambiamento climatico, cessando così di contrapporre salute e lavoro come invece è stato fatto a Taranto, dove lo stato di diritto è negato e chi produce morte lo può fare al riparo da conseguenze legali solo:

– riducendo drasticamente l’uso delle fonti fossili e del gas e rifiutando che il paese venga trasformato in un Hub del gas

– negando il consumo di suolo per progetti impattanti e nocivi e gestendo il ciclo dei rifiuti in maniera diversa sul lungo periodo (senza scorciatoie momentanee) con l’obiettivo di garantire la salute dei cittadini

– praticando con rigore e decisione l’alternativa di un modello energetico autogestito dal basso, in opposizione a quello centralizzato e spinto dal mercato

– abbandonando progetti di infrastrutture inutili e dannose e finanziando interventi dai quali potremo trarre benefici immediati (messa in sicurezza idrogeologica e sismica dei territori , bonifiche, riconversione energetica, educazione e ricerca ambientali)

E’ urgente garantire il diritto all’acqua pubblica, una nuova Strategia Energetica Nazionale riscritta senza interessi delle lobbies, la messa a soluzione delle scorie nucleari, la riduzione delle spese militari, il disarmo nucleare.

I nostri territori, già inquinati da discariche fuori controllo, inceneritori e progetti inutili, sono oltremodo distrutti da monoculture e pesticidi che determinano desertificazione e minano la possibilità di una sempre maggiore autodeterminazione alimentare.

E’ necessario che le risorse pubbliche vengano destinate ad una buona sanità, alla creazione di servizi adeguati, al sostegno di una scuola pubblica e di università libere e sganciate dai modelli aziendalisti, ad un sistema pensionistico decoroso, ad una corretta politica sull’abitare e di inclusione della popolazione migrante con pari diritti e dignità.

Appuntamenti verso il 23 marzo (agenda ancora in aggiornamento):

27 gennaio: Vicenza. Assemblea regionale dei comitati veneti

2 febbraio: Roma. Rete Stop TTIP Assemblea nazionale

2 febbraio: Napoli. Assemblea Regionale Stop Biocidio

3 febbraio: Termoli. Assemblea di movimenti e comitati in lotta contro la deriva petrolifera.

23 febbraio: Tito. Assemblea coi sindaci No Triv della Basilicata e della Campagna.

Fine febbraio (data in definizione): Napoli. Prossima assemblea nazionale verso il 23 marzo.

8 marzo: Non una di Meno – Sciopero Globale Transfemminista.

8-9-10 marzo: Roma. A Sud. Tavoli su giustizia climatica, energia, ecofemminismo.

15 marzo: Global Climate Strike

22 marzo: Roma. Giornata su alimentazione agroecologia a cura di Genuino Clandestino

15-31 marzo: Fabriano. Festival Terre Altre.

Siamo ancora in tempo per bloccare le grandi opere inutili e inutili

Siamo ancora in tempo per contrastare il cambiamento climatico

Siamo ancora in tempo per decidere NOI il nostro futuro!

COP24 – Cambiare il sistema, non il clima. Agire ora per restare a galla

COP24 – Cambiare il sistema, non il clima. Agire ora per restare a galla

Questa mattina a Roma, Bologna, Lecce e Taranto gruppi ambientalisti hanno organizzato un’azione congiunta come avvicinamento alla mobilitazione nazionale e globale dell’8 dicembre contro i cambiamenti climatici. Obiettivo: lanciare un messaggio al governo e all’opinione pubblica sui rischi di un fallimento della COP24 e dell’azione climatica.

“Agire ora per restare a galla”. È questo il messaggio lanciato dalle statue di quattro città italiane questa mattina al governo, impegnato nei negoziati sul clima alla COP24 di Katowice. Perfino i monumenti, muniti di maschera e boccaglio da “Ambientalist* da salotto” (movimenti sociali e gruppi ambientalisti che hanno ripreso in chiave satirica le critiche del Ministro Salvini), si sono fatt* portavoce di un messaggio ormai condiviso dalla comunità scientifica, dal mondo dell’attivismo e dai governi dei Paesi più colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici: occorre modificare radicalmente il modello di sviluppo per evitare un riscaldamento globale superiore a +1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Restano infatti 12 anni per evitare di raggiungere il punto di non ritorno. Senza un’azione incisiva a livello globale, dal 2030 non sarà più possibile arginare gli effetti più catastrofici dei cambiamenti climatici.

Questa è anche la raccomandazione contenuta nell’Accordo di Parigi del 2015, sulla base della quale è stato redatto l’ultimo rapporto IPCC. Gli esperti globali hanno messo nero su bianco gli obiettivi da raggiungere nei prossimi decenni per scampare agli effetti più drastici del climate change: entro il 2030 il mondo deve aver dimezzato la produzione di gas serra, mentre le emissioni nette zero devono essere raggiunte entro il 2050.
Tuttavia, le fonti fossili coprono ancora oggi oltre il 50% della produzione energetica globale, pur essendo le principali responsabili della CO2 emessa in atmosfera. L’agricoltura industriale e la deforestazione impoveriscono gli ecosistemi e minano la capacità naturale di stoccaggio del carbonio. La fusione dei ghiacci e il riscaldamento degli oceani provocano un innalzamento del livello del mare. Le comunità agricole e costiere saranno le più colpite da questi effetti, in particolare nell’Artico, nelle zone aride, nelle isole e nei Paesi poveri.

Nonostante gli scenari descritti, gli attuali impegni dei governi nazionali non sono sufficienti. Il Programma ambientale dell’ONU (UNEP) sostiene che – senza nuovi interventi drastici nelle politiche climatiche – la temperatura globale aumenterà di 3 °C entro fine secolo. In Italia la situazione non è migliore: il nostro Paese ha registrato un aumento medio di circa 1 °C rispetto a un secolo fa, e le nostre emissioni da quattro anni rimangono sopra i livelli minimi raggiunti nel 2014. Servono soluzioni efficaci e subito, perché le conseguenze dei cambiamenti climatici sono ormai evidenti anche nei nostri territori.

Assemblea per la difesa dei Beni Comuni

Assemblea per la difesa dei Beni Comuni

Ai Comitati, alle Associazioni e a tutte le Realtà di Cittadinanza Attiva

Come molti di voi sapranno, alcuni comitati, che si occupano di mantenere fruibili aree verdi abbandonate o in situazioni di degrado, stanno manifestando un profondo dissenso nei confronti del Comune di Roma a causa della Determina Dirigenziale 624 del 3.8.2017. Questa, infatti, richiedendo premi assicurativi elevati e imponendo oneri burocratici che scaricano sui cittadini ogni responsabilità, mette a rischio lo svolgimento delle attività di volontariato nella nostra città.

Per questo motivo alcune realtà hanno notificato un ricorso al Tar del Lazio in cui si chiede l’annullamento della decisione del Comune che penalizza i volontari. Ed è inoltre stata lanciata la campagna #volontariaBUSYvi che prevede l’autodenuncia di tutte le azioni di manutenzione volontaria, con l’obiettivo di sottolineare al Comune il ruolo fondamentale dei cittadini.

Siamo però convinti che anche nel caso in cui la giustizia dia ragione ai Comitati, questo non sia sufficiente ad evitare che in futuro vengano imposte nuove assurde regole ed oneri burocratici per ostacolare l’azione di cittadini volontari che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie energie per curare spazi pubblici, aree verdi, beni culturali, scuole, ecc…. in una parola, i beni comuni urbani.
Quanti sono infatti i beni comuni già oggi curati e gestiti da comitati, associazioni, gruppi più o meno formali che non trovano collaborazione con il Comune di Roma? E quanti sono i cittadini che vorrebbero attivare percorsi condivisi basati sul principio di sussidiarietà, per diventare finalmente protagonisti nella soluzione di problemi che riguardano tutti, indipendentemente da come la si pensi politicamente? E quanti di noi vorrebbero partecipare ma desistono per mancanza di strumenti e di regole chiare e certe nel rapporto con il Comune?

Per risolvere una volta per tutte il problema del rapporto fra volontari e Comune, riconoscendo e legittimando definitivamente il ruolo che i cittadini già svolgono nella cura dei beni comuni urbani, vorremmo presentare una DELIBERA COMUNALE DI INIZIATIVA POPOLARE per l’approvazione di un regolamento per la cura condivisa dei beni comuni che, applicando concretamente il principio costituzionale di sussidiarietà, sappia rispondere a tutte queste esigenze.

Non si tratta di inventare nulla, ma solo di ispirarsi alle esperienze già in corso negli oltre 130 comuni dove già da alcuni anni si applicano regolamenti per la cura condivisa dei beni comuni. Fra questi Torino, Genova, Siena, Verona, L’Aquila, Caserta, Bari, Reggio Calabria a cui si aggiungono Comuni come Firenze, Milano, Palermo e altri dove si stanno per approvare.
In queste città cittadini e amministrazioni collaborano per la cura dei beni comuni con ottimi risultati in termini di miglioramento della qualità della vita, del senso di appartenenza, della coesione sociale e dell’integrazione.

Per poter presentare la delibera di iniziativa popolare ci vogliono oltre 5000 firme in tre mesi per ottenere la discussione in consiglio comunale e arrivare al voto. È un obiettivo difficile ma perfettamente realizzabile se si mobilitano tutte le realtà che a Roma si prendono cura di spazi pubblici, aree verdi, beni culturali, scuole, etc .

Ma affinché ciò avvenga è necessario che tutti prendano coscienza del fatto che abbiamo sia il diritto di pretendere che il Comune fornisca servizi pubblici efficienti, sia il diritto, se lo vogliamo e su base del tutto volontaria, di prenderci cura della nostra città.

Anche per questo stiamo organizzando un convegno su questi temi per il prossimo 2 dicembre.

Intanto, il prossimo 17 novembre alle ore 21.00 presso La Villetta in Via degli Armatori 3 a Garbatella vorremmo costituire il Comitato Promotore. Sarà l’occasione per discutere della Delibera di Iniziativa Popolare e del Regolamento che presenteremo, oltre che naturalmente per conoscerci e berci una sana birretta!!

Nella speranza di vedervi il prossimo 17 novembre, lasciamo qui sotto i nostri riferimenti per ogni eventuale chiarimento, suggerimento, curiosità.

A presto
Amici di Villa Sciarra, CdQ Grotta Perfetta, Comitato Parchi Colombo, Comitato Parco Giovannipoli, Forum Ambientalista, Labsus,

Katiuscia 389582626
Gregorio arena@labsus.net
Federico 329.1985995

Raggi di speculazione a Piazza dei Navigatori – Stop Cemento

Raggi di speculazione a Piazza dei Navigatori – Stop Cemento

NO al terzo palazzo
SÌ alle opere pubbliche

Per denunciare gli intrallazzi della Giunta Raggi e del M5S capitolino, appuntamento a piazza dei Navigatori venerdì 20 ottobre alle ore 17!

Per avere una parte di quanto doveva versare la cordata di imprenditori che ha costruito a Piazza dei Navigatori ed a via Costantino, il M5s fa loro un doppio regalo:

1) rinnova una convenzione scaduta, oltre che calpestata dagli stessi imprenditori, per dare il via ad un altro palazzone di 10 piani;

2) si impegna a sanare il palazzo a vetri costruito con irregolarità edilizie ed urbanistiche ed utilizzato senza avere l’abitabilità, in spregio a due pronunciamenti del Consiglio di Stato che ne hanno vietato la commercializzazione.

I presunti moralizzatori grillini lavorano per gli imprenditori più inadempienti di Roma, quelli che sono riusciti a costruire i due terzi dei 185.000 metri cubi per i privati senza dare alla collettività una sola delle 16 opere pubbliche previste (per 21 milioni di euro totali, secondo la stima del 2004 che è quindi da adeguare sostanzialmente. ..).

Non facciamoci imbrogliare dalla propaganda falsa della Sindaca Raggi e della sua Giunta M5S: portiamo il Consiglio Popolare del Municipio Roma VIII e la nostra indignazione a Piazza dei Navigatori, il prossimo venerdì 20 ottobre alle ore 17.

Senza Acqua Roma e la Città Metropolitana Muoiono!

Senza Acqua Roma e la Città Metropolitana Muoiono!

Senza acqua Roma e la Città Metropolitana muoiono, riprendiamoci la vita

Nell’estate in cui Roma ha conosciuto da vicino la furia devastatrice del fuoco; in cui l’autobus che passava ogni mezz’ora se va bene si vede ogni ora; in cui le aree verdi rimaste aperte e senza transenne sono diventate marroni; in cui a gatti e cavalli si sono abitualmente aggiunti cinghiali, capre e guerre tra volatili vari; in cui la puzza e le mini discariche intorno ai cassonetti sono diventate normali e immancabili; in cui non c’è più una strada percorribile in sicurezza e senza fare gimkane dal centro alle periferie più esterne; in questa Roma qui, il M5s e la Sindaca Raggi continuano nella loro ‘grande menzogna’ finalizzata a descrivere una realtà di plastica, in una cinica e surreale commedia recitata sulla pelle della cittadinanza ed in offesa all’intelligenza della sua anima popolare.

Con la siccità che da incubo è diventato realtà, con il razionamento dell’acqua paventato per il prossimo lunedì e che comunque è dietro l’angolo, la misura è davvero colma. Malgrado Roma, tramite Acea, abbia teppisticamente contribuito a prosciugare il Lago di Bracciano causando un danno ambientale di ingenti proporzioni ed abbia presentato persino un ridicolo ricorso contro la giusta decisione della Regione Lazio di bloccare i prelievi, la Sindaca Raggi ha ignorato per mesi la questione, non ha ascoltato gli allarmi lanciati da più parti ed in particolare quelli provenienti dai Comuni del Lago, ha aspettato l’ultimo minuto per convocare una riunione con Regione ed Acea più utile alla propaganda che ad affrontare il drammatico problema, ha respinto la soluzione proposta dalla Regione Lazio di aumentare la quantità di acqua prelevata dal Peschiera. Giunti a questo punto è urgente che a prendere in mano la situazione di fronte a tanta incapacità sia il Governo nazionale, in particolare con il Ministero per l’Ambiente e il Ministero per la Salute e le Politiche Sociali.

Dov’era Virginia Raggi, Sindaca della Città Metropolitana, Sindaca di Roma ed azionista di maggioranza di Acea, quando in azienda si aumentava la remunerazione dei soci del 25% rispetto al 2015 sottraendo risorse agli investimenti che sarebbero state preziose per riqualificare parti di quella rete-colabrodo che disperde nel tragitto il 42%-45% dell’intero patrimonio idrico? E dov’è adesso, a siccità sopravvenuta, a nasoni in molti casi già chiusi, a pochi passi dal ‘traguardo’ di chiudere per la prima volta i rubinetti dei Romani nella storia millenaria della città, mentre continuano a susseguirsi le immagini di perdite d’acqua dal centro alle periferie più esterne – da Corso Rinascimento a Parco Longanesi, dalla Farnesina a Monteverde ed al Casaletto, da San Giovanni a Cinecittà, dal Pigneto a Torre Angela, da sud a nord e da est ad ovest – con tempi medi di intervento sui guasti che superano il mese?

Acea, che tramite Ato 2 (Ambito Territoriale Ottimale Lazio centrale – Roma) gestisce la risorsa acqua per circa 4 milioni di abitanti e 112 comuni, fornisce un servizio indecente, aumenta i costi in bolletta per gli utenti, distribuisce utili cospicui ai suoi grandi azionisti, investe in misura insufficiente nel rinnovamento delle tubature, si macchia di danni ambientali come dimostra ora l’interesse della Procura di Civitavecchia e le perquisizioni odierne dei NOE alla sede di Acea Ato2.

Per invertire la rotta privatistica di Acea la strada è già segnata da tempo, e servono due gambe per percorrerla: una è quella del Campidoglio, con l’avvio della ripubblicizzazione di AceaAto2 e lo stop all’espansione di AceaSpA in altre aree. L’altra è la piena attuazione della legge regionale 5 votata all’unanimità dal Consiglio nel 2014, a partire dalla riforma e dalla nuova definizione degli Ato sulla base di una pluralità di ambiti idrografici e aprendo alla partecipazione reale delle comunità locali nella gestione dell’acqua.

Non si può restare in silenzio di fronte a tanta irresponsabilità sociale, a quel misto di menefreghismo e disprezzo per la città ed il Bene Comune preludio di una ulteriore, probabile e beffarda furia privatizzatrice che si abbatterà anche su Acea. Ridurre l’acqua e limitarne la disponibilità pubblica comporta, infine, un grave peggioramento delle condizioni di vita di tutti ed in particolare di poveri e senza casa, nonché aggrava il rischio di mandare in crisi servizi essenziali che già oggi non godono certo di buona salute.

Si fa appello ai cittadini tutti, alle realtà sociali, sindacali e dell’ambientalismo, alle forze politiche democratiche, ai Comuni del Lago di Bracciano, affinché si manifesti subito dissenso e rabbia sotto la sede centrale dell’azienda a Piazzale Ostiense:

  • per scongiurare il razionamento dell’acqua con un urgente intervento del Governo nazionale, a fronte dell’incapacità di Sindaca e Giunta capitolina;
  • per ricordare ai vertici di Acea ed alla Sindaca che Roma che l’acqua non è mai mancata nella storia millenaria della città;
    per pretendere da Acea un Piano industriale degno di questo nome ed un’azione puntuale e rapida di risanamento delle tubature-colabrodo;
  • per finirla con i prelievi scellerati ed inutili dal lago di Bracciano, che sono causa di un danno ambientale di vaste proporzioni;
  • per obbligare i vertici di Acea e Campidoglio a lavorare davvero, iniziando dalla rete idrica;
  • per farla finita con bugie e scaricabarile;
  • per la piena attuazione della L.Reg. 5/2014;
  • per gridare che a Roma stiamo perdendo la pazienza e non siamo più disposti a tollerare tanta violenta incapacità nascosta da vuota propaganda.

Appuntamento lunedì 31 luglio, alle ore 17.30 a Piazzale Ostiense 2, di fronte alla sede di Acea. Sono invitate a partecipare tutte le forze sociali e politiche della città.