Palestina Libera!
Il futuro politico di Benjamin Netanyahu e del suo governo d’estrema destra nello stato d’Israele appariva buio nel periodo precedente alla spirale di violenza delle ultime settimane: reduce dalle quarte elezioni in due anni e ufficialmente incriminato per corruzione, frode e abuso di ufficio, alle elezioni del marzo 2021 ottiene 52 seggi, non sufficienti per garantirgli una maggioranza all’interno della Knesset.
Alla scadenza del tempo previsto per tentare di raggiungere la maggioranza, il Presidente Rivlin ha dunque affidato il mandato di formare il governo a Yair Lapid.
Non viene difficile immaginare che l’estrema destra sionista avesse bisogno non solo di distogliere l’attenzione dalla profonda crisi politica e sociale israeliana, ma anche di alimentare la paura per confermare l’assoluta necessità di mantenere quella linea di “difesa dal terrorismo” che da anni Israele utilizza per narrare e giustificare la propria condotta rispetto alla questione Medio Orientale.
Quello che sappiamo per certo è che la zona di Gerusalemme Est, parte del territorio palestinese occupato, in cui a governare dovrebbero essere le leggi del diritto umanitario internazionale, è divenuta nelle ultime settimane un teatro dell’orrore: dall’ingresso delle forze armate nella moschea di Al Aqsa all’inizio del Ramadan, fino ad assalti, incursioni e infine deportazioni di intere famiglie palestinesi dalle loro case di Sheikh Jarrah.
Venerdì 7 maggio l’Onu ha esortato Israele a revocare gli sfratti in corso a Gerusalemme Est avvertendo che “le sue azioni potrebbero equivalere a crimini di guerra” e da più voci è stata denunciata la scandalosa gravità del tentativo di imporre una supremazia all’insegna della discriminazione religiosa nella Città Santa.
A seguito degli scontri innescati da questi episodi, oltre 300 palestinesi sono rimasti feriti, di cui circa 200 sono finiti in ospedale. Le forze dell’ordine israeliane hanno riportato invece una ventina di feriti, di cui 3 trasferiti in ospedale.
Tra i feriti palestinesi l’Unicef segnala anche diversi minorenni, come possiamo leggere. “Negli ultimi due giorni, 29 bambini palestinesi sono stati feriti a Gerusalemme Est. Otto minorenni palestinesi sono stati arrestati. Tra i feriti, anche un bambino di un anno. L’Unicef ha ricevuto rapporti secondo cui alle ambulanze è stato impedito di arrivare sul posto per assistere ed evacuare i feriti e che una clinica in loco è stata colpita e perquisita”, hanno dichiarato Ted Chaiban, direttore regionale dell’Unicef per il Medioriente e il Nord Africa, e Lucia Elmi, rappresentante speciale dell’agenzia in Palestina.
Oggi, Israele definisce come operazione di difesa in risposta ai razzi lanciati da Hamas al governo della Striscia di Gaza, i bombardamenti a tappeto che stanno ferendo e uccidendo i civili della Striscia in maniera indiscriminata e che si vorrebbero raccontare come “mirati” a specifiche “fazioni terroristiche” in cui, evidentemente, devono essere coinvolti anche alcuni bambini delle scuole elementari.
La questione Medio Orientale è sicuramente materia complessa e le ingiustizie verso un popolo che resiste sono meno immediate nella ricezione pubblica rispetto a quelle commesse a fronte di una completa passività.
Ai media internazionali dovrebbero essere delegato in casi come questo il compito di analisi realistiche e oneste intellettualmente, che siano in grado di rendere chiaro e pubblico quello che, superati superficialità e un generico spirito di antiterrorismo, appare completamente evidente.
Le parole giuste per farlo, esisterebbero.
Uno stato all’interno del quale un’etnia subisce politiche di segregazione e persecuzione, si chiama apartheid.
Uno scontro in cui le forze sono divise tra chi sta portando avanti una delle campagne vaccinali di maggior successo del mondo a fronte della pandemia e chi deve invece fronteggiarla subendo un embargo che coinvolge anche l’ingresso del materiale sanitario e ospedaliero affidandosi esclusivamente ad aiuti umanitari internazionali, non è una guerra né un conflitto.
Uno stato che mina sistematicamente la libertà di un culto religioso, non è uno stato laico che fronteggia dei pericolosi fanatismi.
Uno stato che viola costantemente e sistematicamente le norme del diritto umanitario internazionale, non può essere considerato democratico.
Una striscia di terra in cui vivono segregate 2 milioni di persone tra le più povere del mondo, sulle quali si esercitano attacchi attraverso sofisticatissimi mezzi tecnologici militari, è una prigione in cui i detenuti sono rinchiusi senza alcun criterio di colpevolezza e in cui è sdoganato l’utilizzo della tortura.
Reagire a tutto questo è legittima resistenza.
Per continuare a ricordarlo a gran voce questo sabato, il 15 Maggio (giorno in cui ricorre la commemorazione della Nakba) ci vedremo a Piazza dell’Esquilino dalle 16:00 alle 19:00, in contemporanea a numerose altre piazze in Italia.
Per chi volesse unirsi da Roma Sud, ci sarà anche un appuntamento alle 15:30 a Metro Garbatella.
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