Palestina Libera!

Palestina Libera!

Il futuro politico di Benjamin Netanyahu e del suo governo d’estrema destra nello stato d’Israele appariva buio nel periodo precedente alla spirale di violenza delle ultime settimane: reduce dalle quarte elezioni in due anni e ufficialmente incriminato per corruzione, frode e abuso di ufficio, alle elezioni del marzo 2021 ottiene 52 seggi, non sufficienti per garantirgli una maggioranza all’interno della Knesset.

Alla scadenza del tempo previsto per tentare di raggiungere la maggioranza, il Presidente Rivlin ha dunque affidato il mandato di formare il governo a Yair Lapid.

Non viene difficile immaginare che l’estrema destra sionista avesse bisogno non solo di distogliere l’attenzione dalla profonda crisi politica e sociale israeliana, ma anche di alimentare la paura per confermare l’assoluta necessità di mantenere quella linea di “difesa dal terrorismo” che da anni Israele utilizza per narrare e giustificare la propria condotta rispetto alla questione Medio Orientale.

Quello che sappiamo per certo è che la zona di Gerusalemme Est, parte del territorio palestinese occupato, in cui a governare dovrebbero essere le leggi del diritto umanitario internazionale, è divenuta nelle ultime settimane un teatro dell’orrore: dall’ingresso delle forze armate nella moschea di Al Aqsa all’inizio del Ramadan, fino ad assalti, incursioni e infine deportazioni di intere famiglie palestinesi dalle loro case di Sheikh Jarrah.

Venerdì 7 maggio l’Onu ha esortato Israele a revocare gli sfratti in corso a Gerusalemme Est avvertendo che “le sue azioni potrebbero equivalere a crimini di guerra” e da più voci è stata denunciata la scandalosa gravità del tentativo di imporre una supremazia all’insegna della discriminazione religiosa nella Città Santa.

A seguito degli scontri innescati da questi episodi, oltre 300 palestinesi sono rimasti feriti, di cui circa 200 sono finiti in ospedale. Le forze dell’ordine israeliane hanno riportato invece una ventina di feriti, di cui 3 trasferiti in ospedale.

Tra i feriti palestinesi l’Unicef segnala anche diversi minorenni, come possiamo leggere. “Negli ultimi due giorni, 29 bambini palestinesi sono stati feriti a Gerusalemme Est. Otto minorenni palestinesi sono stati arrestati. Tra i feriti, anche un bambino di un anno.  L’Unicef ha ricevuto rapporti secondo cui alle ambulanze è stato impedito di arrivare sul posto per assistere ed evacuare i feriti e che una clinica in loco è stata colpita e perquisita”, hanno dichiarato Ted Chaiban, direttore regionale dell’Unicef per il Medioriente e il Nord Africa, e Lucia Elmi, rappresentante speciale dell’agenzia in Palestina.

Oggi, Israele definisce come operazione di difesa in risposta ai razzi lanciati da Hamas al governo della Striscia di Gaza, i bombardamenti a tappeto che stanno ferendo e uccidendo i civili della Striscia in maniera indiscriminata e che si vorrebbero raccontare come “mirati” a specifiche “fazioni terroristiche” in cui, evidentemente, devono essere coinvolti anche alcuni bambini delle scuole elementari.

La questione Medio Orientale è sicuramente materia complessa e le ingiustizie verso un popolo che resiste sono meno immediate nella ricezione pubblica rispetto a quelle commesse a fronte di una completa passività.

Ai media internazionali dovrebbero essere delegato in casi come questo il compito di analisi realistiche e oneste intellettualmente, che siano in grado di rendere chiaro e pubblico quello che, superati superficialità e un generico spirito di antiterrorismo, appare completamente evidente.

Le parole giuste per farlo, esisterebbero.

Uno stato all’interno del quale un’etnia subisce politiche di segregazione e persecuzione, si chiama apartheid.

Uno scontro in cui le forze sono divise tra chi sta portando avanti una delle campagne vaccinali di maggior successo del mondo a fronte della pandemia e chi deve invece fronteggiarla subendo un embargo che coinvolge anche l’ingresso del materiale sanitario e ospedaliero affidandosi esclusivamente ad aiuti umanitari internazionali, non è una guerra né un conflitto.

Uno stato che mina sistematicamente la libertà di un culto religioso, non è uno stato laico che fronteggia dei pericolosi fanatismi.

Uno stato che viola costantemente e sistematicamente le norme del diritto umanitario internazionale, non può essere considerato democratico.

Una striscia di terra in cui vivono segregate 2 milioni di persone tra le più povere del mondo, sulle quali si esercitano attacchi attraverso sofisticatissimi mezzi tecnologici militari, è una prigione in cui i detenuti sono rinchiusi senza alcun criterio di colpevolezza e in cui è sdoganato l’utilizzo della tortura.

Reagire a tutto questo è legittima resistenza.

Per continuare a ricordarlo a gran voce questo sabato, il 15 Maggio (giorno in cui ricorre la commemorazione della Nakba) ci vedremo a Piazza dell’Esquilino dalle 16:00 alle 19:00, in contemporanea a numerose altre piazze in Italia.

Per chi volesse unirsi da Roma Sud, ci sarà anche un appuntamento alle 15:30 a Metro Garbatella.

Se volete rimanere costantemente aggiornati sulla situazione in Palestina, consigliamo le pagine social del GazaFreestyle Festival, Facebook e Instagram.

Palestina Libera!

Appello Urgente Per Afrin – È il momento di Agire

Appello Urgente Per Afrin – È il momento di Agire

Nelle ultime ore la situazione ad Afrin si è fatta più critica: l’esercito turco invasore e le bande jihadiste sue alleate si sono avvicinate alla città da diversi lati, in particolare dalla direzione di Shera. Sono a 2,5 km di distanza e minacciano direttamente la città. La situazione dentro Afrin è quella che c’era già in questi giorni, quindi alta densità di popolazione, tanti rifugiati dai villaggi che qui hanno trovato rifugio dalla guerra e dai bombardamenti, mancanza di acqua perché quando i jihadisti e l’esercito turco hanno preso la diga di Meidanki hanno tagliato la fornitura e bombardato le stazioni di pompaggio in altri villaggi. Mancano anche alcuni generi di prima necessità. Adesso il rischio concreto è che nelle prossime ore ci sia una situazione sempre più critica e che attacchino la città; già in questo momento ci sono bombardamenti di artiglieria e di aerei nelle zone periferiche della città.

Il Tev Dem ha chiamato a una mobilitazione generale, a una sollevazione in tutti i posti e le piazze del mondo per difendere Afrin, per fermare il progetto di pulizia etnica che Erdogan e i jihadisti vogliono attuare sulla popolazione di Afrin, per chiedere una no fly zone che fermi i bombardamenti aerei, che sono anche quelli che causano un numero elevatissimo di vittime civili e che se in questa città dovessero aumentare ancora e arrivare fino in centro produrrebbero sicuramente un massacro. Queste azioni sono già in essere in molte città europee, anche in Bashur.

Adesso quello che bisogna fare è rompere il silenzio della comunità internazionale che di fatto è complice con questo piano; questo è quello che a tutti i popoli del mondo viene chiesto di fare per sostenere Afrin e la sua popolazione, per supportare la rivoluzione della Siria del nord e quindi la speranza e l’esempio della rivoluzione del nostro secolo per una società libera e democratica in cui tanti popoli diversi possono vivere assieme e che sia anche una proposta di pace per la Siria. Una sollevazione per difendere Afrin ma anche per difendere una speranza per tutta l’umanità.

Lunedì 12 Marzo, Piazza Madonna di Loreto h 17 Presidio

Adesso è il momento di agire e far sentire la nostra voce al’Onu.
Aerei da guerra sono usati contro i civili 24 ore al giorno. Come possiamo chiamare questo se non terrorismo?

•Chiediamo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di lottare con forza in difesa della Risoluzione 2401, per non lasciare che il regime turco evada la responsabilità per le sue azioni nella regione di Afrin, Siria

•Enfatizziamo il bisogno di una comunità internazionale per mettere in atto il cessare il fuoco e per garantire la consegna di aiuti umanitari e sanitari per coloro che ne hanno disperato bisogno, ad Afrin e Ghouta

•Sottolineiamo il bisogno dell’implementazione di una zona di non sorvolo sulla regione di Afrin per preservare vite e abitazioni civili, infrastrutture civili, monumenti significativi e siti di rilevanza culturale. Invitiamo la comunità internazionale a aiutare la messa in atto della no-fly zone con truppe di pace e delegazioni di osservatori

•Affermiamo il nostro impegno per sostenere i valori di libertà, democrazia, uguaglianza, e giustizia per tutti, oltre al nostro lavoro per lo sradicamento dell’estremismo insieme alla Coalizione Globale contro Daesh

#StopAfrinGenocide

#DefendAfrin

Stop Attacking Afrin

Stop Attacking Afrin

★ SABATO 27 GENNAIO PRESIDIO h 16.30 A Piazza del Popolo Da Roma a Tutta Europa al fianco delle sorelle e dei fratelli curd in lotta #DefendAfrin #NoFlyZone4Afrin
La Turchia sta attaccando Afrin e il Rojava perché è una regione curda che sta portando avanti la propria condizione di entità stabile e democratica.
La Turchia non è riuscita ad accettare la sconfitta dell’ISIS, e dal 20 gennaio sta aggredendo Afrin con tutta la propria forza. I suoi aerei da caccia e i suoi carri armati stanno deliberatamente bombardando le aree abitate da civili. Decine di civili sono stati uccisi, di cui la maggior parte donne e bambini, centinaia sono i feriti: le forze armate turche stanno commettendo crimini di guerra e delitti umanitari.
Il nord della Siria è stato ampiamente ripulito dall’ISIS e da altri gruppi salafiti. La minaccia salafita, tuttavia, esiste ancora. Gli attacchi della Turchia stanno destabilizzando la regione e compromettendo la lotta contro l’ISIS.
Sebbene questi sviluppi siano davanti agli occhi di tutti, le reazioni della Russia, degli Usa, della UE e dell’ONU contro gli attacchi della Turchia sono deludenti. La Russia, che controlla lo spazio aereo nella regione, ha prima ritirato i propri soldati dall’area e dopo ha aperto lo spazio aereo ai caccia turchi. Usa, UE e ONU hanno rilasciato dichiarazioni inconsistenti di fronte alla gravità della situazione,di conseguenza stanno incoraggiando l’aggressione turca “riconoscendo prima di tutto il diritto della Turchia di proteggere i confini, preoccupati per la propria sicurezza”. Quali preoccupazioni? Gli unici ad essere attaccati, ad essere vulnerabili, sono il Rojava e i popoli della Siria del nord. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU riunito il 22 gennaio 2018, non è neanche riuscito a condannare l’offensiva turca. Quest’atteggiamento conferma che l’ONU è un semplice spettatore di fronte a questa aggressione immotivata. Non è che così che si deve trattare un popolo che ha combattuto strenuamente contro l’ISIS in difesa dell’umanità !
In questo contesto:
  • Facciamo appello a tutte/i nel sostegno solidale ad Afrin .
  • Facciamo appello a Russia, Usa, UE, affinché si rendano conto della realtà sul campo e assumano una posizione chiara contro gli attacchi della Turchia.
  • il Rojava e la Siria del Nord, compresa Afrin, devono essere dichiarate no-fly zone.
  • Nell’occasione del 4° anniversario del Cantone di Afrin, il 29 gennaio chiamiamo la Comunità Internazionale a riconoscere l’Autogoverno Democratico dei Popoli del Nord della Siria.
  • La minaccia dell’ISIS non è terminata nella regione. Tutte le forze devono volgere la propria attenzione all’ISIS e gruppi similari.
UFFICIO DI INFORMAZIONE DEL KURDISTAN (UIKI)
Rete Kurdistan
Dal Messico al Kurdistan, le donne curde scrivono alle donne indigene

Dal Messico al Kurdistan, le donne curde scrivono alle donne indigene

Pubblichiamo la lettera scritta dalle donne del Consiglio Indigeno di Governo alle donne curde questo Ottobre, per sottolinerare l’importanza degli scambi, dei legami e dei rapporti che si costruiscono tra questi due popoli in lotta.
Traduzione a cura del Nodo Solidale.

San Cristobal de las Casas, Cideci-Unitierra,

Chiapas, Messico – Ottobre 2017

Al Movimento delle Donne del Kurdistan Komalên Jinên Kurdistan (KJK),

Compagne e sorelle:
Noi, donne delegate indigene originarie del Messico, le consigliere e la portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, dei popoli amuzgo, tojolabal, ñahñu/ñatho, nahua, wixárika, tzeltal, maya, tohono odham, totonaco, binniza, tzotzil, guarijio, kumiai, chol, purépecha, mayo, rarámuri, tepehuano, me´phaa, popoluca, zoque, cochimi, coca, cora, yaqui, mam, mazahua, tenek, chinanteco, na savi, cuicateco, mixe, triqui, ikoots, chichimeca y mazateco, riunite in assemblea del Consiglio Nazionale Indigeno, spazio che da 21 anni mette in connessione i popoli originari del Messico, vi inviamo un saluto fraterno e vi ringraziamo di tutto cuore per la lettera che ci avete fatto arrivare lo scorso giugno, con l’abbraccio e l’appoggio solidale e rivoluzionario che dai vostri territori manifestate verso di noialtre, le donne indigene, verso di noialtri, popoli originari del Congresso Nazionale Indigeno.

Questa lettera l’abbiamo letta in numerose delle nostre assemblee comunitarie, lo abbiamo condiviso con molte compagne e compagni, e vogliamo dirvi che conoscere la vostra lotta degna e la vostra solidarietà, ci ha permesso di rispecchiarci in voi e ci ha rafforzato. Siamo lontane geograficamente, però molto vicine nelle nostre idee e pratiche libertarie. Insieme a voi, diciamo che in questa guerra portata avanti contro l’umanità, noi le donne dei popoli originari stiamo alzando la nostra voce e ci organizziamo e mettiamo in cammino per la liberazione dei nostri popoli e di noialtre le donne, che rappresentiamo la metà della comunità umana.

Riconosciamo, diamo valore alla vostra lotta, perché tutte le lotte di qualsiasi donna in qualsiasi parte del mondo ed in qualsiasi tempo della storia che lottano, si ribellano e propongono di costruire nuovi cammini di vita di fronte il mostro patriarcale capitalista che ci opprime, è una lotta degna che deve renderci sorelle. Crediamo fermamente nel recuperare l’importanza di fermarci noialtre le donne a partire dalla nostra comunità, non per scontrarci, ma per organizzarci con i nostri fratelli ed i nostri popoli.

Questo sistema capitalista patriarcale di morte ci colloca, a noi donne, nella posizione più infima, la più scomoda, la più dimenticata e la più repressa e non solo ci colpisce noialtre ma anche i nostri fratelli; però se la comunità è malata, lo è ancor di più per noialtre le donne. sia malata, ancora di più per noialtre, le donne.

In Messico, noialtre, le donne del Congresso Nazionale Indigeno, viviamo un triplo disprezzo per essere donne, per essere indigene e per essere povere; per questo affermiamo che noialtre siamo le più disprezzate e per questa ragione anche noi possiamo esplodere, unite tra tutte e tutti nel Messico e nel mondo, il fine di questo sistema che ci azzittisce e la costruzione di uno nuovo, radicato nelle nostre culture ancestrali e guardando verso il futuro con giustizia, pace e libertà comunitarie.

Viviamo in un mondo dove trionfa l’esistenza individuale e una privatizzazione estrema che minaccia i nostri territori, nel quale colonizzano i nostri pensieri e ci vendono l’idea di una vita irraggiungibile. Questo sistema poco a poco si è insinuato, ci ha permeato, levandoci la nostra identità comunitaria e di popoli, ma noialtre, le donne e gli uomini indigene del Messico appartenenti al Congresso Nazionale Indigeno abbiamo detto “ya basta”; adesso basta che la nostra voce non sia presa in considerazione, di ritornare nell’oblio dopo il risveglio generato dalle nostre compagne e compagni zapatisti più di 20 anni fa. Adesso diciamo che è giunta l’ora della fioritura dei popoli ed è giunta l’ora della dignità di noi donne che nuovamente stiamo dando voce alle nostre lotte e continueremo a farlo. Di fronte a questo impeto del sistema capitalista che vuole sterminarci, noialtre le donne indigene diciamo che non faremo nemmeno un passo indietro e che lotteremo, ci organizzeremo con le nostre ribellioni e resistenze; affronteremo questo sistema che ci vuole desaparecidas, desaparecidos, e continueremo a dire che non lo permetteremo.

Il vostro popolo ed i nostri popoli hanno la stessa storia. A partire dalla lotta di conquista che la corona Spagnola ha intrapreso nelle nostre terre, i nostri popoli hanno continuato a resistere come il vostro, per sopravvivere come popoli, nazioni e tribù insieme ai nostri territori, alle nostre lingue, ai nostri abiti, alle nostre culture e le nostre proprie forme di governo; per questo diciamo che sono più di cinquecento anni che i nostri popoli hanno lottato contro tutti i malgoverni che hanno cercato di sterminarci.

Vogliamo dirvi che ascoltare la vostra parola e conoscere la vostra lotta ci permette di capire che i problemi che ci affliggono si riflettono in altre geografie; è molto chiaro che questo sistema di morte che domina il mondo colpisce tutte le persone, organizzazioni e popoli che si rifiutano di farne parte; ma è anche evidente con il vostro esempio ed il vostro respiro che solo unendo le lotte anticapitaliste e antipatriarcali in tutto il mondo, la vostra e la nostra lotta, come quella di migliaia e migliaia di donne e uomini, delle lavoratrici e dei lavoratori, con i sindacati, dei giovani e dei popoli originari, che solo organizzandoci e mettendoci in connessione, possiamo vincere il nostro nemico comune, questa idra dalle mille teste del sistema capitalista, patriarcale, razzista e coloniale.

Le compagne ed i compagni zapatisti ci hanno già avvertito che la tormenta si avvicina; noialtre crediamo che già ci siamo dentro; viviamo in un paese dove governano il capitale straniero ed il crimine organizzato; in forme differenti dalla vostra, anche noi viviamo quotidianamente la guerra con decine di migliaia di persone assassinate, in particolare femminicidi e assassini di lottatrici e lottatori sociali, di giornalisti impegnate ed impegnati, di defensoras e difensori dei diritti umani, con decine di migliaia di persone scomparse, con migliaia di prigionieri e prigioniere politiche, con la spoliazione dei nostri territori, con lo sfruttamento e la schiavitù dei nostri fratelli e sorelle, con la distruzione della nostra madre terra. Di fronte a questo scenario, raccogliendo l’invito dei nostri fratelli e sorelle zapatiste in questi ultimi 20 anni, crediamo che la miglior maniera di difenderci e passare all’offensiva è con l’organizzazione dal basso, di noialtre e noialtri, dei popoli indigeni, dei popoli della campagna e della città che già ci siamo risvegliati, che mettiamo da parte paura ed apatia, che ci ribelliamo, che ci organizziamo e agiamo in comunità, provando e costruendo spazi di società non capitalista e non patriarcale.

Diciamo che è il momento di noialtri i popoli, è il momento di noialtre le donne che approfittando di questa congiuntura elettorale del 2018, però guardando molto più in là; è il momento che, seguendo l’esempio dei nostri fratelli e sorelle zapatiste e di altri popoli, di voialtre, facciamo risorgere dal basso, processi organizzativi autonomi, governi autonomi che obbediscano al popolo organizzato in comunità, come il Consiglio Indigeno di Governo che articoli le nostre lotte verso la costruzione di un mondo dove entrino e si rispettino tutti i mondi, che ci permetta di essere ciò che siamo e che vogliamo essere; senza sfruttamento e senza discriminazione alcuna, dove le donne siano rispettate, avvalorate ed incluse, per costruire insieme ai compagni, relazioni di libertà e convivenza armonica tra noialtri e noialtre, tra i nostri popoli e con la nostra madre terra.

Con il ricordo vivo delle nostre sorelle e fratelli che sacrificarono la propria vita nella costruzione dei nostri sogni e continuano ad accompagnarci, vi salutiamo, vi abbracciamo e vi diciamo grazie, sorelle del popolo delle montagne, lontane nella distanza e vicine ai nostri cuori, che sappiamo vivono, si organizzano, lottano e muoiono per la liberazione di tutte le donne e tutti i popoli del mondo.

Che vivano i popoli originari del Mondo!
Viva la fratellanza dei Popoli!
Viva la degna lotta di liberazione delle donne Kurde! Mai più un Messico senza Noialtre!
Mai più un Mondo senza Noialtre!

Le Consigliere e la Portavoce del Consiglio Indigeno di Governo/ Congresso Nazionale Indigeno.

Dalla Parte del Popolo Palestinese – Free Palestine

Dalla Parte del Popolo Palestinese – Free Palestine

Presidio a Sostegno del Popolo Palestinese e della sua nobile Resistenza contro le politiche oppressive del governo Israeliano. Insieme, complici e solidali, contro ogni forma di sfruttamento e sovradeterminazione. Presidio Martedì 1 Agosto ore 17, Piazza della Rotonda.

Gli eventi degli ultimi giorni dimostrano come la città di Gerusalemme sia costantemente teatro di scontro e di lotta tra le forze occupanti, guidate dal governo di Israele, e le sollevazioni spontanee del popolo palesitinese.

La resistenza dei fratelli e delle sorelle in lotta, deve assumere necessariamente un ruolo centrale per l’attenzione dell’opinione pubblica e della Comunità Internazionale.

Per questo invitiamo la Città a ribadire complicità nei confronti di ogni popolo oppresso che lotta per libertà e per l’autodeterminazione.

Sarà un momento di espressione e condivisione di arte e cultura colorato e partecipato, in cui la Comunità palestinese scenderà in piazza e aprirà i microfoni per avere il sostegno di tutte le realtà romane e nazionali che da più di 50 anni sostengono i percorsi di solidarietà internazionale.

Sarà prima tappa di lancio verso il 29 novembre, data che l’Onu ha indicato come giornata mondiale di solidarietà con il popolo palestinese.

Sarà un incrocio da cui ripartire per riaffermare l’unica possibile soluzione per la pace: #freePalestine #EndTheOccupation

“I palestinesi della Comunità di Roma e d’Italia, denunciano e condannano la politica criminale dei governanti d’Israele, l’aggressione dei soldati e dei coloni, responsabili dell’uccisione di decine di palestinesi in soli tre mesi, di cui 4 ragazzi tra cui un bambino solo negli ultimi due giorni e il ferimento di altri 320. Salutano con orgoglio, la resistenza eroica del loro popolo – musulmani e cristiani – per la difesa dell’Al’Aqsa e di Gerusalemme. Denunciano e condannano il silenzio, l’indifferenza e la complicità della comunità internazionale e particolarmente dell’Unione Europea e chiedono un immediato intervento per garantire la protezione dei luoghi sacri di Gerusalemme e del popolo palestinese che da più di 50 anni continua ad aspettare l’applicazione delle risoluzioni dell’ONU e della Legalità internazionale che Israele non ha mai rispettato.

La Comunità palestinese chiede il ritiro israeliano dai territori palestinesi occupati, il riconoscimento del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla creazione del suo Stato libero ed indipendente sul suo territorio nazionale. Sono condizioni minime che neanche dovrebbero essere chieste in quanto sancite dal Diritto internazionale e dalle numerose Risoluzioni Onu ignorate senza alcuna sanzione da Israele. Condizioni senza il rispetto delle quali non ci sarà mai pace in Medio Oriente.
Gloria alla Resistenza e agli eroi resistenti.

Per la fine dell’aggressione e dell’occupazione israeliana.
Palestina Libera.”

(Dal comunicato della Comunità Palestinese a Roma e nel Lazio del 22/7/2017)

Sul G7 di Taormina

Sul G7 di Taormina

Nei giorni scorsi i leader dei paesi aderenti al G7 si sono riuniti in una Taormina completamente sottratta alla sua popolazione per discutere -senza risultati- di tematiche che variavano dal commercio internazionale alle migrazioni, dal terrorismo internazionale all’aumento delle spese militare occidentali.

Con l’occasione di quest’assise per una settimana alle navi delle ONG impegnate nel salvataggio di vite umane nel Mediterraneo è stato vietato l’ingresso ai porti siciliani per presunte ragioni di sicurezza -come se le giovani donne incinte morte di stenti mentre venivano trasportate a Napoli potessero rappresentare una minaccia a quei capi di governo, protetti da un dispiegamento di non meno di 10.000 militari.

E per garantire che non una voce contraria si levasse contro quelle donne e quegli uomini -rappresentanti di quelle politiche d’austerità, di macello sociale e di criminalizzazione di migrazione e dissenso che abbiamo visto sortire i loro drammatici effetti negli ultimi anni- il ministero degli interni di Minniti ha predisposto un meccanismo di repressione preventiva che è la messa a punto di quanto visto il 25 marzo a Roma.

Quella che segue è la motivazione con cui un attivista è stato bloccato ed allontanato tramite foglio di via dalla questura di Reggio Calabria poiché ritenuto soggetto “pericoloso per la sicurezza pubblica” e “dedito alla commissione di reati che mettono in pericolo la tranquillità pubblica”, limitandone la libertà di circolazione e quella di partecipare alla manifestazione.

Provvedimenti simili sono stati comminati, come già il 25 marzo, ad altre decine di attivisti, cui va tutta la nostra solidarietà.

Non possiamo che denunciare la svolta autoritario che questo governo ha impresso nella gestione delle migrazioni, del dissenso, della gestione dell’ordine pubblico, portata avanti a suon di leggi liberticide, svergolamenti a destra nel nome di morale e decoro, sanzioni arbitrarie agite per via amministrativa.

Ora più che mai
NO alla criminalizzazione del dissenso!
NO alle Leggi Minniti-Orlando!