Resistenze

Pubblicato il 2 marzo 2015 | da Mattia Sacco

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Mai con Salvini: Roma è antifascista

Sabato il comizio del leader leghista non ha raggiunto i numeri sperati, mentre più di 20.000 persone marciavano alla contromanifestazione partita da P.zza Vittorio

Il 28 febbraio il centro di Roma era diviso in due blocchi: il primo, in Piazza del Popolo, era per la maggior parte composto da nostalgici del ventennio buio della storia d’Italia – i numerosi cartelloni con l’effige del Duce ne erano testimonianza – formazioni neofasciste (Casapound in primis) alla ricerca di agibilità politica; orfani dell’epoca berlusconiana in cerca di poltrone e leghisti della prima ora – gli ultras secessionisti di Pontida – che a fronte di viaggi a costo zero hanno scoperto il loro lato nazionalista.

Tutti accorsi in Piazza del Popolo per legittimare come capo politico Matteo Salvini, autore di un monologo violento e intriso di retorica nazionalista di fronte a una platea di circa 13 mila persone – ne erano previste 100 mila – trovando conferma al profilo dell’elettorato di destra, generalmente estraneo alla dimensione di piazza.

Il secondo, invece, si è dato appuntamento in Piazza Vittorio, vicino alla sede di Casapound protetta dalle forze dell’ordine, per poi distendersi per le strade del centro fino a giungere, molte ore dopo, in piazza Campo de’fiori. Qui gli organizzatori hanno deciso di fare dietrofront – la piazza non era in grado di contenere migliaia di persone – e fare ritorno in corteo al Colosseo.

È stato un corteo antifascista, partecipato da formazioni e movimenti – ANPI, centri sociali, movimenti per la casa, collettivi studenteschi – che può considerarsi un successo sotto il profilo numerico, politico e mediatico: si è affermato che Roma non può essere ostaggio di forze fasciste, nemmeno per un pomeriggio. Allo stesso tempo, lo svolgimento della manifestazione non ha lasciato spazio ad accuse di violenza e a facili strumentalizzazioni.

Il corteo di ieri, soprattutto alla luce dell’esito, può essere considerato un punto di partenza per arginare nuove forme di autoritarismo e limitazione dello spazio democratico.

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