Dispacci sciopero

Pubblicato il 17 marzo 2017 | da Irene Salvi

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Il mio primo sciopero femminista

Quest'anno, per la prima volta, le donne di 50 Paesi hanno scelto di celebrare la Giornata della Donna con una mobilitazione internazionale. Raccontando il suo personale 8 marzo, una di una di loro ripercorre ragioni e obiettivi di questo sciopero globale

Lo scorso 8 marzo in oltre 50 Paesi le donne hanno incrociato le braccia nel primo #FeminiStrike della storia: uno sciopero internazionale che ha significato astensione dai lavori produttivi e riproduttivi, dalle attività di consumo e di cura. In Italia decine di migliaia di persone sono scese in piazza in 60 città per chiedere politiche concrete contro ogni forma di violenza e discriminazione, mentre la rete Non Una di Meno continua a lavorare all’elaborazione di un Piano femminista contro la violenza di genere.

“Esco di casa e trovo il sole ad aspettarmi. Salgo in macchina armata di pazienza, per via dello sciopero c’è già molto traffico per le strade di Roma. Al primo semaforo un ragazzo si avvicina per vendermi un mazzetto di mimose: gli sorrido, non è certo a lui che si può addebitare la banalizzazione commerciale di questa ricorrenza. Intanto ricevo un messaggio dal mio operatore telefonico: mi informa che oggi avrò a disposizione dei Giga di navigazione gratis “per festeggiare tutte le donne”. Sorrido ancora, oggi non c’è nulla che possa farmi arrabbiare. Oggi, 8 marzo 2017, io sciopero.

Mentre guido tra clacson e sirene impazzite so già che ci accuseranno di creare disagio, di ostacolare la circolazione e creare così problemi alla cittadinanza. Inutile ricordare che gli scioperi nascono proprio per creare disagi, accendere riflettori, costringere le persone a vedere ciò che non va: quello che conta è che oggi, per la prima volta, mi sento parte di una marea che scorre in tutto il pianeta, dall’Argentina alla Polonia passando per gli Stati Uniti. Una marea di cui sono gocce allo stesso modo studentesse e precarie, avvocate e lavoratrici del sesso, insegnanti e operaie, madri e donne senza figli, unite dalla consapevolezza di essere – oggi più che mai – protagoniste di un cambiamento necessario.

Oggi sciopero perché la scorsa settimana, in Veneto, una donna che intendeva interrompere una gravidanza si è dovuta rivolgere a 23 ospedali prima di trovare un ginecologo non obiettore. Anche per questo oggi abbiamo costruito, davanti alla Regione Lazio, la Piazza della Salute e dell’Autodeterminazione per rivendicare il diritto alla nostra libertà sessuale e riproduttiva; per l’applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza e il superamento dell’obiezione di coscienza; per una maternità libera e consapevole che non sia imposta dalla società come destino inevitabile o unica fonte di realizzazione per le donne; per il diritto a reinventare le relazioni, a vivere sessualità, piacere e desiderio senza stigmi né giudizi, contro ogni forma di omo/lesbo/transfobia. Sciopero perché credo che i Centri Antiviolenza meritino risorse e valorizzazione: non come centri assistenziali ma come spazi laici e indipendenti di donne, dove praticare solidarietà femminista e attivare processi di trasformazione culturale. Non crediamo che la risposta vada cercata nelle leggi: respingiamo il decreto Minniti e ogni provvedimento basato su logiche emergenziali e securitarie, che chiamano “sicurezza” l’attacco alle categorie sociali più deboli, a partire dalle persone migranti; chiediamo permessi di soggiorno incondizionati per le donne che hanno subito violenza, diritti di cittadinanza e ius soli.

Sciopero perché so che, a parità di esperienza e titoli di studio, guadagnerò sempre meno dei miei colleghi uomini; che mi verrà chiesto di firmare dimissioni in bianco per il caso in cui dovessi restare incinta, di scegliere tra la famiglia e la carriera, di riprodurre sul lavoro relazioni di potere maschile basate sulla competizione e sulla legge del più forte anziché valorizzare le mie specificità personali e professionali. Oggi rivendichiamo anche un salario minimo europeo e strumenti di welfare per tutte e tutti, per liberare i nostri corpi e le nostre vite dalla schiavitù salariale e dal precariato esistenziale. Sciopero perché mia madre non può farlo: il suo lavoro al momento è accudire mio padre – convalescente da una seria malattia – perché curare bambini, anziani e ammalati è da sempre considerato un “compito femminile”. Per questo sto andando a Trastevere, in piazza di S. Cosimato – oggi Piazza della formazione alle differenze – e più tardi raggiungerò la Sapienza, dove ha sede la Piazza dell’università e della ricerca libere, laiche e accessibili a tutt*: perché riteniamo necessario ripartire da scuola ed educazione, ripensare linguaggi e modi di trasmissione dei saperi, mandare in mille pezzi i “soffitti di cristallo”, formare nuove generazioni di persone consapevoli.

Le istanze che oggi portiamo in piazza sono sintetizzate negli 8 punti per l’8 marzo individuati in questi mesi di assemblee dai tavoli tematici del percorso Non Una di Meno: autonomia femminile, effettività dei diritti, libertà sessuale e riproduttiva, parità salariale e welfare, femminismo migrante, educazione all’antiviolenza, spazi politici per i femminismi, nuovi linguaggi antisessisti. La giornata è ancora lunga: dopo le piazze tematiche e gli appuntamenti territoriali ci rivedremo tutte e tutti al Colosseo. I colori della manifestazione sono il fucsia e il nero: quando arrivo è già tutto fucsia, dalle migliaia di nastri, parrucche e cappelli delle manifestanti al cielo di Roma sotto cui ci muoviamo in corteo. Incontro la mia amica Viola, che lavora in un servizio essenziale e oggi non avrebbe potuto essere qui se non l’avesse coperta un collega. Ci sono molti uomini in piazza, ma mi piace pensare che molti altri siano a casa o in ufficio a fare la loro parte e – per una volta – anche quella delle donne che hanno scelto di scioperare, magari cogliendo l’occasione per ripensare all’arbitrarietà dei ruoli che anche loro subiscono e inconsapevolmente riproducono. Per questo siamo in piazza oggi. Per questo, dopo l’immensa manifestazione del 26 novembre, ci siamo riviste a Bologna a febbraio e torneremo a riunirci in assemblea il 22 e 23 aprile a Roma per lavorare al Piano femminista contro la violenza di genere.

Oggi, otto marzo, ci fermiamo per ricordare che senza di noi si ferma il mondo. Da domani riporteremo i nostri corpi liberi e pensanti nei luoghi di lavoro, a casa e nelle strade per tradurre questi desideri in pratiche quotidiane. Cammino su via Marmorata mentre dal camion in testa al corteo si alza l’urlo “ci siamo riprese lo sciopero generale, gli abbiamo ridato significato”. Mi guardo intorno e penso a quanto si sbagliavano quelli che ci mettevano in guardia dallo sciopero sostenendo che non fosse lo strumento adatto, che ci si sarebbe ritorto contro. Mi guardo intorno e scorro le foto che affollano i social, foto della marea a Roma e in tutte le altre città in cui si è riversata, in Italia e nel mondo. Quanto si sono sbagliati. E camminando alla fine di questa lunga giornata mi sento come se, a 28 anni, questo fosse il primo vero 8 marzo della mia vita, la mia prima vera giornata delle donne. Perché noi non ci accontentiamo delle mimose e vogliamo tutto, tutti i giorni“.

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