Cultura pcsp

Pubblicato il 2 dicembre 2015 | da Matteo Picconi

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PCSP, Piccola Controstoria Popolare a Casetta Rossa

L’animo sovversivo della Maremma tra ricerca storica e racconti popolari, presentato ieri l’ultimo libro di Alberto Prunetti

“Raccontare le stesse storie con parole sempre nuove, come si faceva nella cultura popolare, alla veglia, al camino o al fresco dell’aia…”. Questo e molto di più si cela dietro al lavoro di Alberto Prunetti, autore di “PCSP, Piccola Controstoria Popolare” (edizioni Alegre), presentato ieri a Casetta Rossa, alla Garbatella. Un libro che ci proietta nella zona della Maremma, terra dei cavalli, di contadini, di “innati” sovversivi, in una cornice storica che prende quasi tutta la prima metà del secolo scorso, dagli anni del primo conflitto mondiale all’immediato secondo dopoguerra.

pcsp«Sono partito da un lavoro di ricerca, negli archivi, sulle carte, nei casellari. Ma uno storico poi comincia a lavorare in terza persona, io al contrario ho intrapreso una dimensione narrativa». Così Prunetti introduce la presentazione di PCSP, un libro che mischia stili e intenti diversi, nel quale l’autore stesso, in una recente intervista, ha preferito definirsi “cantastorie” piuttosto che storico. «Il libro riprende il tessuto delle storie e dei canti popolari sopravvissuti al fascismo, forme di oralità alle quali ho voluto dare più respiro rispetto alle solite trattazioni storiche che, a distanza di anni, sembrano inciampare da sole». A rendere unico nel suo genere PCSP, infatti, non è tanto l’aspetto “conservativo” della memoria storica e politica dell’antimilitarismo e antifascismo della Maremma, terra mai docile né per i proprietari terrieri né per i “nerocamiciati”, quanto piuttosto la descrizione a tratti romanzata di personaggi per loro natura ostili al regno sabaudo prima e al regime fascista poi. Nel narrare le vicende dell’irrequieto facchino Domenico Marchettini e dell’oste anarchico di Prata, Prunetti ne evidenzia i loro tratti essenziali, appunto popolari. Un esempio evidente ne costituisce la seconda parte del suo libro “il romanzo del compagno dimenticato”. «Il compagno dimenticato è una sorta di “montaggio” di diverse storie e casellari di compagni antifascisti. Personaggi spesso analfabeti (parlavano solo il vernacolare), che avevano vissuto le loro vite nel raggio di pochi chilometri e che, per la causa antifascista, si ritrovarono a vivere come internazionalisti. Personaggi incredibili, che non vanno appiattiti né nella loro militanza politica, né tantomeno nel folklore».

pcspNiente vittime, niente eroi. Prunetti si discosta dalla consueta narrazione celebrativa che ha caratterizzato la letteratura di sinistra dal secondo dopoguerra in poi. E in effetti, una volta venute meno le fonti orali, il ricordo di quegli eroi si fa man mano più sbiadito, lontano, mentre “gli avversari di quei compagni dimenticati non hanno neanche cambiato nome e fanno sempre le stesse cose, la loro ideologia non invecchia, quella dei sovversivi si” (cit. PCSP). Al giorno d’oggi, in realtà, quegli avversari sono anche di più: «seppur in vesti diverse, ci sono ancora tanti fattori di ideologia fascista; la risposta però non è direttamente l’antifascismo di allora, semmai è averne chiari i concetti. Se rimaniamo nell’immaginario collettivo del passato, rischiamo di rimanere sconfitti». Una sconfitta che non sarebbe solo politica, ideologica, ma prima di tutto culturale. Laddove non riesce ad incidere un libro di storia, deve arrivare un racconto, una poesia, una canzone popolare. Possono celebrarsi banditi e disertori come eroi, purché non si perda il senso del loro passato, delle loro storie perché, per dirlo con le parole del Prunetti, “quei compagni ci servono vivi, con le loro passioni, le loro ansie, con i loro sogni palpitanti e con i loro errori madornali”.

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