In Spagna si avvicinano nuove elezioni
Dopo l'abbandono dei negoziati, in Spagna Podemos lancia una consultazione tra la base per l'adesione ad un accordo di governo con socialisti e liberali
La chiamavano sindrome italica. Sono passati quasi cinque mesi dalle elezioni generali in Spagna e sembra che l’accordo per la formazione di un governo non si trovi. L’ultima notizia, dopo un estenuante periodo di trattative, è che il PSOE – partito socialista spagnolo il cui leader ha l’incarico esplorativo per la costituzione del governo – dia ormai per scontato un ritorno alle urne.
Lo ha dichiarato questo lunedì il portavoce al Congresso e capo del team socialista per i negoziati di governo Antonio Hernando, a seguito del fallimento degli ultimi tentativi di compromesso.
I negoziati Che non sarebbe stato facile trovare la quadra era il dato emerso il giorno dopo il voto, il 20 dicembre 2015. Finito il bipolarismo Psoe – Pp (Partito Popolare, centro destra), che rispettivamente hanno ottenuto il 22,01% e 28,72% delle preferenze, i risultati elettorali hanno catapultato sulla scena politica due nuove formazioni.
Podemos, terzo partito con il 20,66% e il Ciudadanos del dandy Albert Rivera, con il 13,93% dei voti espressi. Quest’ultima formazione, nata come movimento cittadino moderato di impronta liberale, ha assunto un ruolo proprio in funzione “anti-Podemos” ed è stato riccamente finanziato dalla confindustria spagnola con lo scopo di porre un freno ai tanti consensi dei viola di Pablo Iglesias.
Anche se primo per preferenze, il risultato elettorale ha sancito la sconfitta del Pp e il Re ha conferito l’incarico esplorativo per la formazione del governo al leader socialista Pedro Sanchez. Ferma la volontà dei socialisti di non formare una governo di unità nazionale con il Pp, le trattative sono state intavolate con Podemos e Ciudadanos, il cui forte antagonismo – soprattutto su riforma del mercato del lavoro e questione catalana – ne rende difficile una possibile alleanza.
Tra gennaio e febbraio si era palesata un’ipotesi, proposta da Pablo Igelsias, di un governo delle sinistre formato da Psoe, Podemos, Izquierda Unida (il Sinistra Italiana spagnolo) e alcune formazioni autonomiste basche e catalane.
Idea ben presto tramontata di fronte alle pressioni dei baroni socialisti, spaventati dal programma di governo proposto da Podemos: concedere alla Catalogna la possibilità di votare l’indipendenza tramite referendum, riforma del mercato del lavoro, reddito minimo di cittadinanza, fermare gli sfratti e fine delle porte girevoli tra attività politica e business imprenditoriale.
Il 12 febbraio la notizia della firma di un accordo programmatico tra Psoe e Ciudadanos aveva portato all’abbandono dei negoziati da parte di Podemos. Il partito di Iglesias aveva poi votato contro l’investitura del governo Sanchez, proposta il 3 marzo, facendo scattare un meccanismo che prevede il ritorno alle urne se, entro i successivi 60 giorni dalla bocciatura in Parlamento, non si fosse trovato un accordo.
Il Psoe, ormai imbarcato Ciudadanos, ha tentato una nuova apertura su Podemos proponendo un patto a tre. Rimanendo forti le distanze, la dirigenza viola venerdì scorso ha rotto gli indugi, lasciando i negoziati e convocando una consultazione online tra i propri simpatizzanti sull’accettare o meno l’accordo proposto dal Psoe.
Gli scenari Sembra ormai probabile un ritorno alle urne e, secondo le dichiarazioni rilasciate dai vari esponenti, la campagna elettorale è già ricominciata.
Sarà guerra tra socialisti e Podemos per addossarsi la colpa nella mancata formazione del governo. Il Partido Popular, secondo un sondaggio interno di cui si fa forte il suo leader Mariano Rajoy, sembrerebbe essere invece sicuro di tornare a vincere, mentre altre inchieste vedono una conferma del quadro post 20 dicembre, seppur con qualche spostamento ed un aumento dell’astensionismo, di solito dannoso alla sinistra.
Podemos, accusato di non volere nessun accordo, subisce il fuoco di fila degli altri partiti, ma la crisi istituzionale è anche frutto del comportamento dei socialisti e dei loro errori nella lettura del quadro generale.
Se da un lato le elezioni spagnole del 20D dimostrano che in Spagna il neoliberismo, incarnato dal Partido Popular, ha tenuto botta nonostante tutto, d’altro canto è evidente come anche nella terra di Don Chisciotte stia crollando il progetto liberale abbracciato dai partiti socialisti europei. Un modello, forgiato dai vari Tony Blair e Helmut Schmidt, che dopo aver fallito in Grecia e Portogallo, rivive il medesimo fallimento in Spagna, portando il Psoe al 20% dei consensi.
Se le prossime elezioni consolideranno il risultato di Podemos, i socialisti dovranno cambiare prospettiva, scendendo dal piedistallo su cui il bipolarismo li aveva fatti salire e affrontando la formazione di Pablo Iglesias con un punto di vista cooperativo, al fine di permettere la costruzione di una maggioranza alternativa al progetto neoliberista. Oppure seguire la via renziana della definitiva sottomissione della socialdemocrazia alle lobby.

