Eataly, l’impresa (ir)responsabile
Quattro mesi dopo, l'internazionale piemontese del buon gusto sembra aver sbancato. Un successo per presenze, la riqualificazione del quartiere all'insegna del gusto e dei principi dell'impresa responsabile, ma sotto sotto qualcosa scricchiola
Si può al contempo essere multinazionale e distributore di prodotti artigianali? Esiste la possibilità di conciliare produzioni d’eccellenza (i cibi alti) e la standardizzazione delle economie di scala necessaria alla diffusione globale dei prodotti medesimi?
Rispondere affermativamente a tali domande sembra essere l’obiettivo primario della sfida di Eataly, marchio che – come riporta il sito internet – riunisce un gruppo di piccole aziende operanti nei diversi comparti del settore enogastronomico. Un’avventura imprenditoriale, quella nata nel 2007 a Torino ed esportata persino negli Stati Uniti e in Giappone, che dallo scorso 21 giugno ha segnato un nuovo capitolo con l’apertura romana nel quartiere ostiense.
Un’operazione, lo sbarco a Roma, non di poco conto. Impossibile conoscere l’entità dell’investimento per la ristrutturazione dei 17 mila metri quadri dell’ex Air Terminal Ostiense, cattedrale nel deserto delle infrastrutture realizzate per i Mondiali di Calcio del 1990, ma le risorse impegnate dal patron Oscar Farinetti e dai suoi soci sono notevoli, e si vede. L’accoppiata con il contemporaneo inizio della NTV, i nuovi trasporti ferroviari privati di Montezemolo e Della Valle, con il treno Italo che nella stazione Ostiense ha la sua base romana, ha poi fornito un ulteriore potenziale bacino d’utenza per Eataly, i viaggiatori.
Sembrerebbe, quella creatasi nel giro di pochi mesi a cavallo tra la Garbatella e la Piramide, la nuova valley del “virtuoso “ capitalismo italiano, mangereccio (di qualità) e dei trasporti.
Ed infatti l’apertura di Eataly aveva incontrato nella fase progettuale un favore che definire trasversale è dir poco. Come non stendere tappeti rossi ad un imprenditore che apre un’imponente attività – offrendo cinquecento posti di lavoro – riqualificando un quartiere intero attraverso la ristrutturazione del suo principale totem dimenticato? Ed il tutto con proprie risorse, una rarità nell’italietta dei kapitalisti bravi a fare impresa solo con i soldi dello Stato. Se poi si tratta di un centro commerciale (di qualità ma pur sempre di centro commerciale si tratta) dove i romani soddisfaranno la loro sete di consumo, ancora meglio.
A quattro mesi dall’apertura, il nuovo arrivato è stato ben accettato dal quartiere. Il successo sembra essere stato sancito da un immenso afflusso di clienti entusiasti, tra cui svariate personalità del mondo dello spettacolo.
Vi sono state proteste per l’aumento del traffico dovuto allo notevole flusso di clienti, ma si è trattato di una querelle dai toni contenuti, dopotutto l’Air Terminal è in una posizione defilata rispetto alla zona residenziale. Le levate di scudi dei pochi vicini della porta accanto, causate dagli odori delle immense cucine della struttura, sono state risolte dalla solenne promessa di modificare le canne fumarie del transatlantico eataliano.
In superficie tutto a posto, dunque, ma cosa si muove sotto il livello del mare? Il cibo, nonostante la sua estrema mercificazione, conserva oggi un alto contenuto simbolico – dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei – e l’arrivo di un’impresa che opera con dei precetti sostanziali e con cotale peso nel campo della distribuzione e della ristorazione è una novità.
La specificità di Eataly che veramente incuriosisce riguarda il messaggio che l’imprenditore vuole dare insieme alla vendita del prodotto. Vendere alimenti facendo profitto risiede nella norma, ma la sorpresa è il parallelo sforzo di educare il consumatore. O almeno provarci, “nella convinzione che mangiare bene aiuti a vivere meglio.
Eataly è infatti un presidio Slow Food, associazione internazionale, ma di origine piemontese, impegnata per la difesa della biodiversità e dei diritti dei popoli alla sovranità alimentare, in lotta contro l’omologazione dei sapori, l’agricoltura massiva, le manipolazioni genetiche. Principi condivisi dunque, dei quali Eataly si fa poi promotore in sede commerciale: un alimento deve infatti essere organoletticamente buono, sostenibile dal punto di vista ecologico e giusto dal punto di vista sociale. Una concezione dell’attività imprenditoriale che, con linguaggio di oggi, si direbbe che amplia la sua attenzione dagli azionisti e dalla loro remunerazione, ai cosidetti stakeholders, portatori di interessi diversi e la cui tutela ne amplia la missione rendendo l’impresa responsabile.E tra questi portatori di interessi, fondamentali alla riuscita dell’attività imprenditoriale, vanno annoverati i lavoratori dell’impresa.
E se dunque una verifica sull’applicazione pratica dei principi esposti era possibile, seppur con limitati mezzi, si è indirizzata l’attenzione al trattamento contrattuale dei dipendenti, il fattore lavoro dei manuali di economia.
E’ stata ancora una volta una sensazione amara scoprire che il capitalismo illuminato non esiste e che il profitto sommerge tutto.
Da Eataly i contratti precari (con formule di due mesi più due di contratto, ma anche fino a sei mesi) sono la normalità. I giovani dipendenti intervistati – che per timore di una ritorsione hanno chiesto l’anonimato – non biasimano queste forme contrattuali. Se va male – hanno dichiarato a Core – l’imprenditore non può certo accollarsi i costi derivanti da contratti onerosi. Sembra incredibile, ma si condivide l’assunto che in fondo la flessibilità sia una necessaria assicurazione del rischio d’impresa.
Quello che invece non va giù a tanti, riferiscono gli intervistati, è che i salari non sarebbero in linea con quanto, di norma, spetterebbe alle singole professionalità. Formalmente assunti da agenzie di lavoro interinale, Adecco ed Easyjob, i lavoratori avrebbero contratti inquadrati in categorie generiche legate al commercio invece che a professionalità specifiche. Una piroetta che consentirebbe “risparmi”, a parità di mansioni e competenze tecniche, fino a mille euro al mese su ciascuna busta paga per le posizioni senior, ovvero lavoratori con esperienza pregressa.
Con le dovute differenze di contesto, sembra di sentir parlare gli operai cinesi di Foxconn, produttori di giocattoli Apple da settecento euro al pezzo a fronte di due dollari al giorno in busta paga.
Per ora, sottolineano le nostre fonti, le proteste a riguardo sono rimaste sottotraccia perché si spera in migliori condizioni future e, soprattutto, perché la crisi impera e trovare lavoro non è facile.
Una giustizia sociale, quella promossa da Eataly, da cui i dipendenti dell’impresa stessa sembrano essere stati, almeno per il momento, astutamente esclusi. Ma si mangia niente male.

