‘Un maledetto freddo cane’
Il libro di Luca Palumbo accende una luce su quelle storie a cui pochi fanno attenzione. Viaggiando sui pullman della solidarietà per cercare ed aiutare i "senza dimora"
“Il progetto – promosso dall’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma – nasce da una mia esperienza vissuta da operatore sociale di strada durante l’emergenza freddo nell’inverno tra il 2007 e il 2008, sui pullman della solidarietà. Si partiva da Piazzale dei Partigiani. Io e i miei colleghi andavamo in giro di notte per Roma su un malconcio mezzo a chiedere ai senza fissa dimora se volessero trascorrere la notte al riparo, e li sistemavamo accatastati in un ambiente pregno di odori, rumori di ogni tipo, e di un caldo opprimente. La mattina gli davamo una magra e improponibile colazione a base di strano tè e biscotti secchi. Distribuivamo coperte a coloro che rifiutavano di salire sui pullman o che non potevano montare a bordo perché non c’era più posto.
Questi “senza dimora” non erano i classici clochard su cui si ricama ancora un inverosimile romanticismo, ma erano persone cadute in miseria da poco, impaurite di vivere per strada, di abbrutirsi, perché vivere per strada per cause contrarie alla propria volontà non è affatto romantico” racconta l’autore.
Questa storia è come fosse un catartico dialogo di dolore che va da fuori verso dentro e che confessa il giro di vite ineluttabile del mondo della strada: un emisfero che si auto assiste e, dimenandosi, affonda tragico, non riesce a fare altro che emanciparsi dal senso. Nessun angolo di quella strada è l’orgoglio del cielo ma ognuno è il teatro su cui si dipana il valzer delle vite smarrite. Sembra di ammalarle ogni volta che le si scruta, tanto che sale la voglia di guarire la colpevolezza del dramma di quel modus esistendi conteso tra il bene e il male.
Matteo Furst alloggia dentro a questa risacca e se ne ammala. È un operatore sociale e precario disarmato, fa ogni notte la sua crociata contro il diluvio di quel “freddo cane”. I suoi barboni sono l’irrevocabile estensione delle innumerevoli derive della realtà, in un effluvio caricaturale di sensi e odori e storie che di satirico non hanno nulla. Massimo è il toscano logorroico, Tonino è il napoletano claudicante, Alberto è il vecchio sbronzo abruzzese, Youssef è il nord-africano spacciatore, violentatore e timorato di Dio, Dio è ed è in tutte le visioni, incarnate e non, di Matteo. È il Dio dei sepolcri senza le resurrezioni.
È un mondo apocalittico e opprimente, ingiusto e sporco, che ingurgita nella ruggine un’umanità devastata dalla crisi. È il mondo del colera ai tempi dell’amore. C’è un solo fiore sotto quei cieli grigi anche di notte, una fune sola per il funambolo di questa storia. È Sofia, la bella Moldava senza tetto, il riscatto dolce di Matteo dall’annientamento umano e sociale e la denuncia, romantica, alla povertà dalle cose che accudiscono e sorreggono, una povertà che smentisce la libertà, una povertà da cui non si può più amare.
Questo libro è un generatore automatico di solidarietà per i nuovi poveri: gli invisibili.

