Cinema OFF woman

Pubblicato il 27 maggio 2017 | da Irene Salvi

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Wonder Woman sta arrivando (e già manda in crisi le certezze maschili)

Negli USA l'annuncio di una proiezione del film riservata a un pubblico femminile ha scatenato l'ira di molti uomini, che hanno ritenuto l'iniziativa "discriminatoria". Perché mai?

Wonder Woman sta arrivando: a giorni la supereroina dei fumetti DC Comics creata da William Moulton Marston tornerà sugli schermi di tutto il pianeta (in Italia il film sarà distribuito a partire dal primo giugno), interpretata da Gal Gadot per la regia di Patty Jenkins. Nel film – come nel fumetto – l’invincibile principessa delle Amazzoni Diana lascia la sua isola paradisiaca quando scopre da un pilota americano, atterrato d’emergenza sulle sue sponde, che un tremendo conflitto sta devastando la civiltà esterna.

Nel pieno dell’attesa, pochi giorni fa una sala della catena Alamo Drafthouse ad Austin (Texas) ha annunciato sui propri canali web l’intenzione di organizzare un “women-only screening“, ossia una proiezione riservata a un pubblico di donne (chiarendo come fossero benvenute anche le persone trans o intersex che si identifichino al femminile). 

Il risultato immediato è stato il furore di molti uomini, che hanno riversato la propria frustrazione sui social media definendo l’iniziativa discriminatoria, ipotizzando polemiche che avrebbe suscitato un’analoga proiezione riservata a soli maschi e arrivando a minacciare azioni legali contro il cinema.

 

 

 

D’altro canto moltissime donne hanno apprezzato l’idea e i biglietti per la proiezione sono andati esauriti nel giro di poche ore – tanto da indurre la sala a programmare un’altra data – mentre su Twitter e Facebook circolavano vorticosamente meme più o meno ironici e a volte esilaranti:

 

In molti hanno anche ipotizzato che il women-only screening non fosse che una trovata di marketing pensata per cavalcare una nuova immagine pop del femminismo (che negli USA hanno contribuito a diffondere anche celebrities come Lena Dunham o Beyoncé). La domanda è: se anche fosse? Wonder Woman è un prodotto commerciale, una megaproduzione distribuita dal gigante Warner Bros. Entertainment; come tale è oggetto di strategie di promozione più o meno opportunistiche e aggressive. Nonostante ciò, è innegabile che nel panorama cinematografico fantasy (e non solo) in cui per decenni le donne sono state rappresentate come indifese donzelle portate in salvo dal nerboruto eroe di turno, Dianawoman incarni una figura rivoluzionaria: femminile e potente, autodeterminata e generosa, è icona e role model per bambine e ragazze di tutto il mondo. Se la strategia di marketing (della produzione o della singola sala) crea spazi in cui le donne possono godersi insieme uno dei pochi film che restituiscono una rappresentazione positiva del potere femminile, perchè gli uomini dovrebbero sentirsi infastiditi o in qualunque modo coinvolti?

Le lamentele maschili basate sulla presunta “discriminazione” fanno pensare a bambini capricciosi incapaci di accettare l’esistenza di un gioco che non li veda in campo. Senza contare che di sale in cui vedere il film a Austin ce ne saranno a decine: perchè infuriarsi per l’unica proiezione riservata a un pubblico femminile, per giunta programmata per il giovedì successivo all’uscita nelle sale (quando, c’è da presumere, i più impazienti avranno già trovato il modo di vedere il film)?

Forse a dare risposta a tutte queste domande è una donna di nome Alisha, che affida a un tweet la sua scarna interpretazione di questa storia assurda: “Gli uomini che si lamentano della proiezione di #WonderWoman non temono la ‘discriminazione’ ma l’idea che le donne celebrino il proprio potere insieme“.

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