Cultura fosse ardeatine

Pubblicato il 23 marzo 2015 | da Matteo Picconi

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Reider, fuga dalle Fosse Ardeatine

L’incredibile storia del soldato della Wehrmacht, Joseph Reider, unico sopravvissuto all’eccidio nazifascista

Dietro il dramma delle Fosse Ardeatine ci sono tante storie, tante vite, da raccontare. Tra queste ve n’è una, però, che sembra correre parallela a quella triste tragedia consumatasi settantuno anni fa: è la vicenda di Joseph Reider, il soldato disertore della Wehrmacht, scampato miracolosamente all’eccidio delle cave di via Ardeatina.

La testimonianza. Nel 1946 il grande fotografo e editore di origine ebraica Luciano Morpurgo pubblicò “Caccia all’uomo: Vita, sofferenze e beffe. Pagine di diario 1938-1944” (Ed. Dalmatia), una raccolta di testimonianze, dell’autore stesso e non, nel periodo compreso tra la emanazione delle leggi razziali e la fase immediatamente successiva alla liberazione di Roma, nel giugno 1944. Tra queste spicca il racconto di Joseph Reider, che fu poi riproposto dallo scrittore Antonio Lisi nel 1995 e dall’insertoPatria indipendentedel 31 marzo 2005. La sua è una testimonianza eccezionale, l’unica capace di far rivivere da vicino il dramma delle Fosse Ardeatine.

Il personaggio. Reider nel 1944 era un giovane medico austriaco di Salisburgo arruolato nell’esercito tedesco in qualità di interprete. Come si evince da un articolo di Massimo Rendina del 2003, Reider disertò l’11 settembre del 1943 mentre era in servizio nella zona dei Castelli Romani, tre giorni dopo l’armistizio e la presa di Roma delle forze nazifasciste. Dopo aver vissuto alla macchia per alcuni mesi venne catturato i primi giorni di febbraio e rinchiuso nelle carceri di via Tasso dove, alla stregua degli altri prigionieri, conobbe la fame e la tortura.

“Di costoro si farà letame…” Il racconto di Reider parte dalla mattina del 24 marzo. Fatto uscire di cella venne portato al cospetto di un altro prigioniero, la memorabile figura di Don Pietro Pappagallo. I due vennero legati insieme ai rispettivi polsi e condotti in strada dove furono caricati, insieme a molti altri prigionieri, sui camion, ignari della loro destinazione. Reider, era l’unico prigioniero straniero, l’unico capace di tradurre le parole dei carcerieri nazisti. “Di costoro si farà letame” fu una delle frasi che dovette riportare nella sua drammatica testimonianza. Il suo racconto riporta tutto lo smarrimento, la paura, di coloro che andarono incontro a quel triste destino. Una volta giunti alle cave di via Ardeatina e fatti scendere dai camion, tutti i prigionieri si strinsero disperati intorno al prete. Di qui l’episodio che Reider definì “sovraumano”: Don Pietro riuscì a liberarsi dal laccio che lo legava a Reider per impartire una benedizione a tutti i presenti. L’austriaco, approfittando di un momento di distrazione dei propri carcerieri, approfittò della calca per fuggire, oltrepassando un muricciolo di terra poco distante. La sua fuga durò poco perché venne prontamente individuato da una SS che lo trasse subito in arresto. Poteva essere la fine ma la conoscenza con quel soldato fece si che Reider, anziché essere riportato alla cava, venne ricondotto a via Tasso. Dopo essere stato processato e condannato nuovamente a morte, riuscì ancora a fuggire il 3 giugno, nei pressi del Foro Mussolini, il Foro Italico, mentre le truppe tedesche erano in fuga e Roma stava per essere finalmente liberata. Reider fu di fatto l’unico superstite della strage delle Fosse Ardeatine.

Super testimone in “contumacia”. Joseph Reider conclude il suo racconto in una Roma liberata. Inverosimilmente l’ultima notizia certa che abbiamo di lui è proprio questa testimonianza giunta tra le mani di Morpurgo. La sua storia negli anni è tornata alle cronache diverse volte per commemorare le Fosse Ardeatine ma tornò alla ribalta soprattutto in occasione del processo Priekbe, il massacratore delle Fosse Ardeatine, riconosciuto e arrestato in Argentina nel maggio del 1994 ed estradato in Italia nel novembre dell’anno successivo. Si ricominciò allora a parlare di quel disertore austriaco, il superstite, il grande supertestimone che mancava per il processo del comandante delle SS. Anche l’Interpol si mise alla ricerca di Reider ma senza trovarne traccia. Di lui resta solo quel racconto e l’immagine di quel laccio che rimase legato al suo polso mentre Don Pappagallo e gli altri 334 martiri innocenti andarono incontro alla morte in quel tragico 24 marzo 1944.

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