Cultura

Pubblicato il 21 marzo 2016 | da Matteo Picconi

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Fosse Ardeatine e la 336esima vittima

La testimonianza di Libero Raganella e l’uccisione di Fedele Rasa, la “336esima” vittima di quel tragico 24 marzo ’44

Nonostante la grande storiografia che fiorì nell’immediato secondo dopoguerra, in pochi riuscirono nell’intento di ricostruire realisticamente gli avvenimenti di quei terribili 271 giorni di occupazione nazifascista della Capitale. Sicuramente “Roma città prigioniera” (edito dalla casa editrice “Mursia”) scritto dal giornalista Cesare De Simone, uno dei più validi storici della Resistenza, rappresenta un’opera completa ed esauriente, soprattutto in merito alla tragica vicenda dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

All’indomani dell’attacco partigiano di via Rasella, nel tardo pomeriggio, un silenzio surreale nelle strade accompagnò quelle file di camion carichi di civili diretti a sud est, in direzione Porta San Sebastiano. Tra la popolazione e, soprattutto, tra le file dei partigiani, i timori di una crudele quanto silenziosa rappresaglia stavano tristemente trovando conferma. La notizia giunse a un giovane prete di San Lorenzo, Libero Raganella, che si era distinto nei mesi precedenti nel prestare soccorso alle famiglie colpite dal bombardamento alleato del luglio ’43. In contatto con le formazioni partigiane, a don Libero fu chiesto di recarsi nella zona della via Ardeatina per capire cosa stesse succedendo. L’opera di De Simone riporta fedelmente le parole del sacerdote, che da San Lorenzo si precipitò sul luogo dell’ancora ignorato sterminio a bordo di una bicicletta. Ne evidenzia anche un particolare molto curioso: alla ruota posteriore don Libero dovette applicare delle rotelle poiché solo i tricicli potevano “circolare” nella città, in seguito ad un attacco messo in atto da un partigiano proprio in sella ad una bici. Giunto stremato all’attuale piazzale antistante le cave, il prete s’imbatté in una folta schiera di soldati tedeschi. Non molto lontane il prete udì, a intermittenza, alcune raffiche di mitra. Preso atto dell’imminente tragedia, don Libero chiese a un soldato la possibilità di assistere le vittime in quanto uomo di fede ma fu prontamente allontanato con la minaccia di poter finire anch’egli sepolto in quelle cave. Al sacerdote dei Giuseppini del Murialdo non rimase che tornarsene nel suo quartiere e dare la triste conferma da tutti temuta. Quella sua drammatica corsa contro il tempo però risultò fondamentale per il successivo ritrovamento di tutti quegli innocenti, sepolti nella pozzolana delle cave per le mine fatte esplodere dai tedeschi dopo l’eccidio.

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Quando si parla delle vittime delle Fosse Ardeatine, generalmente si citano le 335 anime uccise, cinque in più di quelle previste per un fatale errore di calcolo dei tedeschi. De Simone nel suo libro tratta un’altra terribile scoperta: l’omicidio di un’anziana donna, Fedele Rasa, consumatosi proprio nei pressi delle cave, in quel medesimo 24 marzo. Un fatto venuto alla luce proprio per le estenuanti ricerche dello storico De Simone che trovò nei registri dell’allora ospedale del Littorio, oggi San Camillo, una nota relativa al decesso dell’anziana donna. L’episodio, ripreso anche da Corrado Augias nel suo fortunato libro “I segreti di Roma”, fu ricostruito in questi termini: la donna, abitante nel non vicino Villaggio Breda, un campo sfollati situato lungo la via Casilina, stava cogliendo le verdure nei pressi delle cave quando fu colpita da colpi di arma da fuoco. La motivazione più accreditata, in merito a questo inspiegabile omicidio, fu che la donna si rese colpevole di non essersi fermata, probabilmente per motivi di sordità, all’alt intimatogli da un militare tedesco. Il fatto avvenne intorno alle ore 17, quando la zona cominciava ad essere presidiata perché scelta per la strage che poi ebbe luogo nelle due ore successive. Fedele Rasa, settantaquattrenne nativa di Gaeta, la “336esimavittima non ufficiale della strage delle Fosse Ardeatine, morì poco più tardi, nelle prime ore del 25 marzo, all’indomani di una delle giornate più tristi della nostra storia.

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