Cultura

Pubblicato il 6 dicembre 2015 | da Sebastiano Palamara

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Rapine in villa, torna l’Alligatore di Carlotto

Dal 5 novembre è in libreria Per tutto l’oro del mondo, il nuovo romanzo dello scrittore padovano, che affronta il delicato tema della sicurezza e degli assalti predatori alle abitazioni private. Ancora un grande noir tra letteratura della crisi e letteratura del conflitto

LA SERIE DELL’ALLIGATORE. Il 2015 si conferma un anno fortunatissimo per gli appassionati della serie dell’Alligatore: erano passati infatti ben sei – interminabili – anni, prima di rivedere in azione con La banda degli amanti (pubblicato ad Aprile), il trio investigativo più antagonista e anti-istituzionale della scena letteraria italiana. Con Per tutto l’oro del mondo (uscito il 5 novembre per le edizioni E/O), Massimo Carlotto bissa il rientro sulla scena dell’ Alligatore Marco Buratti, affiancato come sempre dai soci Beniamino Rossini e “Max la Memoria”. Si tratta di un nuovo splendido nonché particolarmente complesso capitolo della saga iniziata vent’anni orsono con La verità dell’Alligatore (1995). Sono ormai otto i romanzi della serie, che vede come protagonisti tre personaggi irregolari, collocati più o meno volutamente ai margini della società legittima, stravolgendo così una tradizione giallistica e poliziesca italiana caratterizzata dalla costante presenza di personaggi istituzionali “buoni”, marescialli, commissari, giudici (solitamente più buoni dello Stato stesso, come ha osservato Claudio Milanesi in un bel saggio dedicato alla scrittura di Carlotto).alexandre_marius_jacob Il terzetto di Massimo Carlotto, invece, pur non subendo alcuna fascinazione per il mondo della criminalità tradizionale, rivendica con orgoglio l’appartenenza identitaria alla storia di “ladri, contrabbandieri, rapinatori, donne e uomini refrattari alle logiche della malavita organizzata e delle mafie, in perenne scontro con i corrotti. Una storia praticamente sconosciuta ma di cui noi facevamo orgogliosamente parte. Una storia di sconfitti che avevano vissuto il loro tempo con la testa alta e la dignità integra” (cit. Per tutto l’oro del mondo). È dalle esperienze di banditi come Alexandre Marius Jacob e Horst Fantazzini che deriva il codice di comportamento a cui Marco Buratti, Beniamino Rossini e “Max la Memoria” si attengono in modo scrupoloso.

I PERSONAGGI. Considerati i frequenti riferimenti alle precedenti vicende vissute dai protagonisti, è presupposta da Massimo Carlotto una lettura seriale dei capitoli passati; tuttavia, la consueta presentazione in avvio di romanzo dell’Io narrante Marco Buratti, e la rapida sintesi delle puntate passate, consente altresì una lettura non consecutiva dei vari romanzi, strutturati sempre, come in questo caso, in maniera totalmente autonoma dal punto di vista narrativo.alligatore1

Marco Buratti, l’Alligatore: Ex cantante di blues (degli “Old red Alligators”, da qui il soprannome), un tempo vicino alle istanze della sinistra radicale, è stato vittima di un “errore” giudiziario che gli è costato molto caro; si è rifiutato di collaborare con polizia e magistrati e ha scontato ingiustamente sette anni di carcere. In galera si è costruito la figura di paciere tra le diverse fazioni della malavita in contrasto tra loro, e una volta libero, si è trasformato in un’atipica figura di investigatore privato senza licenza che non collabora né interpella mai inquirenti e forza pubblica (che odia, ricambiato) e con cui, anzi, si ritrova spesso contrapposto durante le indagini (“Noi non eravamo né sbirri né magistrati, a noi servivano le prove per presentare il conto” cit. Per tutto l’oro del mondo). È ossessionato dalla ricerca della verità, solitamente opposta o in contrasto con le versioni giudiziarie ufficiali. Sfortunato con le donne, malinconico e disilluso, beve (troppo) Calvados e ascolta musica blues, onnipresente colonna sonora di tutti i romanzi. Sono significativi i punti di contatto tra il passato di Buratti e la clamorosa vicenda giudiziaria che ha reso celebre – suo malgrado – Massimo Carlotto.

La continuità tra la mia esperienza di vita e la mia scrittura è che io sono rimasto un marginale di fatto e quindi non ho nulla da spartire con quello che mi circonda. (Massimo Carlotto)

Max la Memoria: Ex militante di un’organizzazione della sinistra extraparlamentare, è stato condannato a una lunga detenzione a causa della falsa dichiarazione di un pentito. Scaltro e intelligente, è la mente organizzativa del gruppo; ha costruito negli anni uno sconfinato archivio che si rivela spesso utile nello svolgimento delle indagini. È grasso e conduce una vita sedentaria, i suoi soci lo chiamano spesso col poco gratificante appellativo di “ciccione”. Pur essendo anch’egli, come l’Alligatore, un reduce di generazioni passate, e pur trovandosi pressoché impossibilitato alla militanza attiva a causa dei suoi pesanti precedenti, non rinuncia a presenziare al G8 di Genova e rivendica una forte appartenenza ideale alle ragioni della sinistra antagonista.

Sia l’Alligatore che Max impersonano, con malcelato rimpianto, il punto di vista della generazione del ’77; sono entrambi braccati dai fantasmi del passato e dalla precarietà della loro esistenza, scontando continuamente il prezzo di vivere in un mondo con il quale non hanno più nulla a che spartire, essendo ugualmente distanti da una criminalità globalizzata squallida e senza onore, dove tutti tradiscono tutti, così come dalla “sana” società borghese ipocrita e connivente (“avidità e disprezzo della vita umana da una parte, dall’altra un’idea esasperata della giustizia e della proprietà. Una miscela esplosiva di cui avevamo riacceso la miccia” cit. Per tutto l’oro del mondo).

Beniamino Rossini: Vecchio bandito realmente esistito, amico di Massimo Carlotto, è stato un leggendario contrabbandiere e rapinatore, legato alla tradizione comunista e a una malavita ormai estinta. È il braccio armato del gruppo, che senza di lui, per ammissione dello stesso Alligatore, finirebbe ai piedi di un cipresso prima della fine di ogni romanzo. Max e l’Alligatore, infatti, non sono in grado di usare violenza, ma col tempo, soprattutto grazie a lui, hanno imparato ad approvarne, in alcuni casi, la necessità risolutiva. Pur spietato all’occorrenza e non disdegnando l’uso della forza, Beniamino è dotato di un’etica ferrea: non si colpiscono deboli e innocenti, si mantiene a ogni costo la parola data, non si sfruttano le donne, non si fa ricorso alla tortura, non si colpisce mai alle spalle. Significativamente, odia allo stesso modo sbirri e mafiosi, e a guidare il suo agire non è mai il semplice tornaconto personale. Ogni volta che uccide un infame (termine da non riferirsi solo al delatore ma da intendersi nell’accezione larga di uomo indegno), aggiunge al polso sinistro un braccialetto d’oro. È il suo rito. Ancora snello e asciutto nonostante l’età non più tenera, “i radi capelli tinti e i baffi alla Xavier Cougat” (cit. Il maestro di nodi), è sempre impeccabile ed elegantissimo in un improbabile look da gangster anni ’30. Rimprovera spesso ai suoi soci, in maniera più o meno bonaria, la tendenza all’autocommiserazione, a lui totalmente estranea.

Beniamino: « non riuscite a staccarvi dal passato. Avete i vostri conti da regolare, soprattutto con voi stessi…»  Max: « È la maledizione della nostra generazione, solo che non doveva finire così»   Alligatore: « Ci è andata male, Max. È inutile menarsela più di tanto. Siamo destinati a rimanere ai margini. Non è più il nostro mondo. L’abbiamo avuto in pugno per un attimo, poi se lo sono ripreso»  (cit. La verità dell’Alligatore).6

IL ROMANZO. Tra i protagonisti principali del romanzo compaiono gioiellieri e orafi, decisi a difendere la proprietà privata a colpi di fucili a pompa; ricettatori imbolsiti e bande di rapinatori autoctoni; un vecchio sindacalista stanco di non poter più difendere realmente i lavoratori, e la solerte organizzatrice di un giro di casalinghe-prostitute destinate ad allietare la pausa pranzo di esponenti (rigorosamente italiani) della Vicenza bene, impossibilitati ad andare a puttane di sera, causa doveri familiari; uno stravagante poliziotto pieno di tormenti che si è giocato la carriera da un pezzo, già vecchia conoscenza dell’Alligatore; e ancora, l’affascinante ed enigmatica “donna di jazz”, incasinata e piena di paure, che un paio di sere alla settimana trova la sua oasi e il suo rifugio personale indossando un vestitino color verde smeraldo e un paio di tacchi vertiginosi dello stesso colore…

Il contesto geografico in cui si svolgono le vicende (eccezion fatta per qualche rapido sconfinamento in Lombardia, Belgio e Croazia), è il Nordest veneto, dove Massimo Carlotto è nato e cresciuto. Quel Veneto ex “locomotiva economica d’Italia”, produttivo ma corrotto e marcio fino al midollo, crocevia, in quanto terra di confine, di ogni genere di traffico, dagli stupefacenti agli esseri umani, passando per le armi (link). Il tema principale affrontato da Massimo Carlotto in Per tutto l’oro del mondo è lo scabroso e attualissimo tema della sicurezza. Le complesse vicende del libro prendono le mosse da una brutale rapina in villa, conclusasi con un uomo e una donna uccisi dopo orrende sevizie e torture. La soluzione del difficile rebus in cui Alligatore e soci si trovano coinvolti, non troverà certo la sua risoluzione nei biechi richiami razzisti o securitari di quei movimenti “più o meno spontanei sorti per reclamare maggior sicurezza” (cit. Per tutto l’oro del mondo), che quasi ogni giorno occupano le prime pagine dei giornali veneti e non solo; lo sviluppo delle indagini serba invece delle sorprese incredibili, che inaspettatamente coinvolgono il mondo regolare (“Se i regolari decidono di agire al di fuori delle loro leggi perdono il senso della misura. Anche quando rubano semplicemente del denaro pubblico. Diventano squali, predatori” cit. in Per tutto l’oro del mondo). Emerge nel romanzo lo stretto ma non scontato legame tra le logiche spietate che dominano il mondo regolare, e il disprezzo per la vita mostrato dalla nuova criminalità, quella che ha progressivamente abbandonato gli assalti ai grandi istituti di credito per ripiegare sulle ville private di persone impossibilitate a difendersi. Sullo sfondo delle vicende del romanzo riecheggiano le recenti elezioni regionali venete, dove vengono “osannati Sindaci per aver dichiarato che i rom non avevano diritti di sosta nel loro paese. Commercianti che reagivano aprendo il fuoco, uccidevano i cattivi e diventavano eroi. Fiaccolate, magliette. Paura, esasperazione, odio. Umori giustizialisti. E voti: così tanti da chiudere la partita” (cit. in Per tutto l’oro del mondo).imge

Il risultato finale del romanzo oltrepassa di parecchio, come sempre accade nei lavori di Carlotto, lo schema del “semplice” poliziesco-giallo, del noir o dell’Hard-boiled. La profonda ricerca di indagine preliminare effettuata dallo scrittore nel campo della cronaca giudiziaria e nell’attualità è sottostante a ogni suo lavoro e sembra quasi indirizzata a compensare la decadenza del giornalismo investigativo in Italia. La maestria della sua penna e la lucidità – conquistata a caro prezzo sulla propria pelle – dell’accurata analisi che applica alla realtà contemporanea nelle sue trasformazioni socio-economiche più significative, non è mai superficiale né tantomeno politicamente allineata, e gli consente di disseminare nel testo riferimenti sociali e politici, che possono esser colti del lettore sulla base dei diversi gradi di sensibilità e consapevolezza: dal sindaco imprenditore che svende ai privati alcuni capolavori della sua città e vieta una serie di testi scolastici “imposti dalla lobby gay”, al dibattito sull’introduzione del reato di tortura; dalla greve violenza, anche e soprattutto psicologica, esercitata dalle forze dell’ordine e necessaria in ogni tipo di regime, a una società sempre più criminosa in tutti i suoi ambienti. Carlotto riesce così a problematizzare la facile e ridicola contrapposizione dicotomica Bene-Male, mostrando così l’irrisorietà concettuale, la volgarità politica e i gravissimi rischi insiti nel facile ricorso a retoriche di tipo securitario. Per tutto l’oro del mondo rappresenta un grande esempio della cosiddetta letteratura del conflitto, di cui Massimo Carlotto, in Italia, rappresenta uno dei vertici assoluti; egli è da diversi anni pienamente annoverabile tra i giganti europei del genere noir e il suo nome può ormai comparire a pieno titolo accanto a maestri internazionali come Jean Claude Izzo e Joe R. Lansdale. Senza Massimo Carlotto il noir mediterraneo resterebbe orfano di uno dei suoi più grandi interpreti; questo suo ultimo romanzo rappresenta un brillante esempio di come la narrazione possa concorrere a sabotare o quantomeno a mettere in discussione una visione politicamente addomesticata delle profonde problematiche determinate o aggravate da una crisi che è sociale e culturale ancor prima che economica. È in questo senso che Per tutto l’oro del mondo esercita conflitto contro una prassi politica basata unicamente sul controllo e sul consenso di masse di persone impossibilitate a comprendere, per la mancanza di strumenti e per l’incessante propaganda, le complesse ragioni sottostanti alle pur drammatiche trasformazioni di territori già abbondantemente devastati, non solo dal punto di vista paesaggistico-naturale, ma soprattutto in quegli elementi socio-culturali inerenti a consapevolezza, identità e memoria.

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