Charlie Hebdo, l’incubo tra noi
Con l’attacco alla redazione del giornale satirico la Francia si trova a fare i conti con contraddizioni sociali irrisolte
PARIGI – È un clima d’assedio quello che si respira in queste ore per le strade di Parigi. Un clima che la Francia non viveva da diverso tempo. Sono lontani i tempi dell’eterno De Gaulle e delle lotte fatte in nome della libertà di pensiero e della libera cultura del maggio ’68.
Dopo l’attacco al giornale satirico Charlie Hebdo di mercoledì sembrava che il tutto si dovesse risolvere con la tragica cronaca di un’enorme caccia all’uomo nei dintorni della capitale francese. La realtà, invece, è che l’incubo è continuato anche al risveglio, dopo l’alba del giorno dopo con una sparatoria in quartiere a sud della città e, ancora, il sequestro di alcune persone all’interno di un’épicerie (un negozio di alimentari) specializzata in prodotti ebraici. Un incubo che supera i confini della notte, che terrorizza chi credeva di vivere nel cuore di un’Europa libera e sicura ma anche un incubo che affonda le proprie radici in una serie di condizioni sociali che in troppi hanno fatto finta di non vedere.
La divisione classista perpetrata per decenni in città, la creazione di veri e propri ghetti e l’impossibilità per molti di poter accedere ad un’istruzione di alto livello, rappresentano un terreno fertile nel quale il fanatismo religioso ha gioco facile nel reclutare i futuri martiri. Quello che è successo in questi giorni a Parigi è la realizzazione di quanto temuto da tanti. In molti sapevano che sarebbe potuta accadere una cosa simile e chi dice il contrario o è in malafede o non ha il polso della situazione.
Non serve essere nati nella capitale francese e non serve nemmeno averci vissuto per decenni; un primo approccio, anche distaccato, alla Parigi delle banlieues, dei quartieri più “difficili”, distanti anni luce dalle zone turistiche, dal sogno snob e folle delle vetrine di Cartier, delle gallerie Lafayette o degli Champs-Élysées regala un’immagine del paese ben distante da quella dipinta dai media francesi e che ancora riempie i pensieri sognanti di tanti europei: la Francia non è più il faro della civiltà in Europa. Forse lo è stata, ma in tempi molto diversi.
L’ostinazione con cui il granitico Stato francese passa sotto silenzio i fallimenti delle sue campagne d’integrazione, regalando solo un’immagine senza macchia di sé e del suo operato; tacendo, oggi come ieri, sulle sue politiche colonialiste tutt’ora attive e sulla gestione dei suoi “giardinetti africani”. Tutto ciò fa cadere nello sconforto più disilluso i suoi cittadini nel momento in cui tutte queste contraddizioni vengono alla luce nei modi più tragici ed “inaspettati”.
Sono molti i francesi di origine algerina o tunisina che, pur non essendo nati e cresciuti in Francia e pur non avendo quasi mai nemmeno visitato il paese d’origine dei propri avi inorridiscono all’idea di definirsi francesi. Un segnale che fa riflettere, come fanno riflettere i casi pressoché quotidiani di violenze in banlieue. La rabbia cieca nasce dalla povertà, sia essa materiale o immateriale.
Povertà è non poter sfamare la propria famiglia, ma è anche non poter accedere ad un’educazione di alto livello, è il vedersi chiudere le porte della classe dirigente di un paese in faccia a prescindere dalle proprie capacità ed è essere ghettizzati nella vita e nella scuola. Questa povertà è il carrarmato su cui avanzano i reclutatori di disperati che mandano avanti progetti terrificanti come lo stato islamico.
Per comprendere che la religione, qualsiasi religione, è fumo negli occhi e può essere usata per far compiere i gesti peggiori c’è bisogno di cultura, il pane che non tutti i regnanti sono disposti a concedere al proprio popolo.