Dispacci

Pubblicato il 1 marzo 2016 | da Silvia Talini

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Misure di polizia, controllo sociale e diritti

Una riflessione su senso e funzione delle misure di prevenzione, strumenti di controllo che negli ultimi mesi hanno colpito numerosi attivisti politici nelle principali città italiane

A inizio febbraio un attivista del CSOA La Strada è stato raggiunto da un “avviso orale”: una misura di prevenzione che si inserisce nella scia dei provvedimenti notificati a diversi attivisti degli spazi sociali Tpo, Labàs e Hobo di Bologna e a molti altri esponenti dei movimenti in tutta Italia.

Ma cosa sono le misure di prevenzione e perché vengono spesso considerate uno strumento repressivo di dubbia costituzionalità?

Rispondere impone di andare alla radice della loro funzione: impedire la commissione di delitti da parte di persone considerate – a vario titolo – socialmente pericolose, indipendentemente dalla commissione di un reato.

L’applicazione è quindi interamente fondata sulla possibilità che si possano compiere – anche solo nel futuro – attività genericamente considerate “antisociali”, in grado cioè di mettere in pericolo la sicurezza o l’ordine pubblico, così giustificando una vigilanza anticipata.

Qui il primo dubbio: è possibile limitare la libertà personale sulla base di un giudizio basato esclusivamente sulla personalità e sulle abitudini di vita di una persona che non ha commesso alcun reato? La Costituzione sembra escluderlo. Gli articoli 13 e 25, prevedendo che nessuno possa essere “punito” con la restrizione della libertà se non in forza di una legge, sembra negarlo chiaramente. Il termine punizione, infatti, implica necessariamente la commissione di un comportamento illecito, comportamento non richiesto per l’applicazione delle misure di prevenzione.

Se già il presupposto delle misure appare largamente contrastante con le garanzie costituzionali, enormi problemi emergono anche in relazione alla possibilità che alcune restrizioni – oltre che dai giudici – possano essere disposte direttamente dalle forze di pubblica sicurezza.

“Rimpatrio con foglio di via” ed “avviso orale” sono infatti tipiche misure di polizia di competenza del Questore, esterne a ogni processo ma in grado di incidere in maniera significativa su vita, abitudini e scelte personali dei destinatari. Il foglio di via, imponendo il ritorno nel comune di residenza e impedendo il ritorno nel luogo di allontanamento, condiziona l’esercizio di numerosi diritti quali – fra i tanti – lavoro, istruzione, libertà di circolazione e relazioni affettive.

L’avviso orale, che consiste in un generico invito a mantenere un “comportamento conforme alla legge”, sembra non incidere più di tanto sulle abitudini di vita; ma non è così. Ad alcune condizioni l’avviso può contenere una serie di limitazioni (divieto di utilizzare qualsiasi apparecchio di comunicazione, di possedere giocattoli riproducenti armi o qualunque mezzo idoneo allo sprigionarsi di fiamme e altre ancora); tuttavia, anche quando ne è privo, l’avviso è in grado di alterare concretamente le abitudini di vita. Nascondendosi dietro la protezione di generiche e indeterminate categorie come sanità, sicurezza o tranquillità pubblica la persona è indotta ad allontanarsi da realtà che, in tempi di “emergenza sicurezza” e smantellamento del sistema di welfare, si trasformano facilmente da fenomeni a pericoli sociali. Basta pensare ad occupazioni abitative, centri sociali, campi rom, presidi, scioperi e così via. Tutto questo è costituzionalmente legittimo? Anche qui la Costituzione appare di segno opposto. L’art. 13, attribuendo ai soli giudici la possibilità di limitare la libertà personale con un atto motivato, sembra escludere ogni sua possibile restrizione da parte delle forze di pubblica sicurezza.

Nonostante la chiarezza di questi articoli le misure di polizia – complice un’interpretazione della Costituzione in chiave “securitaria” – sono oggi largamente utilizzate, limitando i diritti e l’autodeterminazione delle persone attraverso il richiamo a generici “sintomi antisociali” a prescindere dalla commissione di un reato.

Inoltre, l’invito a comportarsi secondo legge, determinando un’alterazione di fatto delle proprie abitudini e scelte di vita, rischia di trasformarsi in un’illegittima “minaccia dell’azione penale”, anche questa in aperto contrasto con le garanzie costituzionali.

 

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