Cultura Rome, nome plurale di città

Pubblicato il 24 gennaio 2017 | da Matteo Picconi

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Rome, 49 sfaccettature della Capitale

A Moby Dick la presentazione del volume collettivo “Rome, nome plurale di città”, 49 racconti di artisti e intellettuali che un anno fa hanno raccontato la Roma contemporanea

ROME Moby Dick manifestoRaccontare la città, e le sue problematiche con un approccio originale, “plurale” e trasversale. È questa una delle peculiarità del libro Rome, nome plurale di città (2016, Bordeaux Edizioni), raccolta di 49 racconti o saggi brevi di diversi artisti e studiosi, che verrà presentato domani presso la biblioteca Moby Dick (ore 18, via E. Ferrati 3, Garbatella).

Tante città in un’unica prospettiva. Il libro curato da Giorgio De Finis e Fabio Benincasa, uscito nel giugno scorso in piena campagna elettorale, prende le mosse da un progetto degli autori stessi risalente al 2009: «il progetto riprende una sorta d consultazione collettiva che preparammo per la prima festa della Casa dell’Architettura qualche anno fa – ha spiegato De Finis ai microfoni di Radio Radicale – già all’epoca si sentì la necessità di stanare esperti, intellettuali e artisti e portarli a ragionare insieme sulle questioni della città, sempre di più lasciata in mano ad amministratori e politici».

Rome non è un inglesismo. Come specificato dai curatori Roma non può avere una visione univoca, vi sono più città al suo interno, pluralità e differenze che la compongono e la intersecano nel magma dei suoi problemi e della sua immobilità. Da qui l’idea di farla raccontare da quelle persone che la città la pensano, gli intellettuali, e la immaginano, gli artisti, escludendo d’altro canto coloro che fanno parte della classe politica e istituzionale, ritenuti i primi responsabili di una Roma in crisi, che ormai stenta a riconoscersi in sé stessa. «Anche gli intellettuali hanno delle responsabilità però di tipo diverso – ha spiegato Benincasa a Radio 3 – ci siamo rivolti a loro richiamandoci all’opera di Moravia, Contro Roma, per raccontare la città attraverso dei “modelli narrativi”».

RomeLa strategia della “Grande Bruttezza”. Tra i 49 racconti di Rome è presente anche il contributo di De Finis, “L’invivibilità di Roma, e l’impossibilità di porvi rimedio votando Tizio Caio e Sempronio”, 10mila battute in cui l’autore va ben oltre il concetto tanto decantato della Capitale come una decadente “grande bellezza”, trascurata e immobile per propria indole. Questa città “non è più il cuore di niente” si legge tra le prime righe di De Finis che, per capire le piaghe dell’inefficienza, il degrado e il malaffare di Roma, pone al centro una teoria molto interessante, quella della “strategia mascherata da calamità” «con lo strumento della disaffezione, fiaccando la resistenza, fisica e mentale, dei suoi abitanti, in tutti i modi possibili, giorno dopo giorno, con il costo della vita, le scarse opportunità di lavoro, il vuoto culturale, il traffico, la mancanza di parcheggi, lo smog, il rumore, la sporcizia, la paura… Col risultato di disamorare Roma, che amore ce l’ha nel palindromo. E ridurla a una somma di individui depressi o rabbiosi, in entrambi i casi incapaci di farsi corpo sociale. Dividi et impera. Altro insegnamento della tradizione latina al buon governante di tutti i tempi, precetto preso alla lettera e applicato fino all’unità minima, il singolo, trattato da resente e non più da cittadino».

rome teatro valleLe resistenze dei “sognatori”. Non tutti i cittadini romani, “indolenti e insofferenti”, se ne stanno lì a guardare (e a sbuffare). Sempre citando De Finis, “la Roma odierna ha bisogno soprattutto di sognatori”, di persone e associazioni che non soccombono al piatto grigiore di oggi e che resistono con le armi di cui dispongono, prima su tutti la cultura. In Rome vengono raccontate alcune tra le tante forme di lotta e di condivisione sociale realizzatesi nella Capitale in questi ultimi anni. Tra questi il racconto “Teatro Valle, la prossima volta sarà così” di Ilenia Caleo e Roberto Ciccarelli, oppure del MAAM, il museo abitativo (e abusivo) del Metropoliz, sulla Prenestina. «Senza questi e altri “sogni” – scrive De Finis nel suo racconto –  a Roma rimane solo la cappa opprimente dei moniti di Monitor5 e il vicolo cieco che ci invita a percorrere».

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