I-60 al confine con il Parco dell’Appia Antica. La crisi non ferma i palazzinari
Petizione popolare e ricorso al T.A.R. La cittadinanza si adopera in numerose azioni legali e chiama a raccolta solidarietà nella protesta
La lotta cittadina del “Coordinamento territoriale XI, Stop I-60” collauda e tenta il sabotaggio di una cementificazione ladra a Roma di siti archeologici, ettari di vegetazione, cave di tufo e buone coscienze, e si difende contro l’avamposto di una legislazione urbanistica che le è sfacciatamente ‘insolidale’.
Sono 400 mila gli allarmanti mc di cemento edificabili sull’area tra Via di Grotta Perfetta e Via del Tintoretto, per un totale di 32 palazzi a semicerchio fino agli 8 piani di altezza e quattro nuove corsie di tangenziale. Numero di residenti stimato: 4.760 unità.
Un’isola cementizia di elevato standard qualitativo, fra strutture di pertinenza commerciale e residenziale, immersa nel verde di pregio. Un bottino che farebbe gola ai più accaniti predatori di affari immobiliari.
I “No” declamati, dai residenti, all’edificazione del complesso risiedono nella malaugurata sorte che spetterebbe ai 20 ettari di verde a ridosso del Parco dell’Appia Antica su cui si ergerà l’I-60.
L’intera zona è declinabile come sito archeologico poiché disseminata di ritrovamenti che, proprio i sondaggi diagnostici finanziati dai costruttori, hanno rinvenuto.
Si tratta di una villa romana di età imperiale e di pregevole fattura, con alcuni mosaici e resti d’una necropoli, una strada in basolato che sembra intersecarsi con altre. Un corollario archeologico che neppure l’Appia Antica può tributarsi con vanto. “Questi sondaggi iniziati nel 2009 -ricorda Giuseppina Granito, membro del Comitato Stop I-60- furono bruscamente sospesi nel 2011, a pochi giorni dalla data del 21 Aprile, durante la quale noi cittadini promuovemmo una manifestazione dal provocatorio titolo NATALE DI ROMA, FUNERALE DELL’ARCHEOLOGIA”. Una archeologia periferica che frutterebbe l’humus fertile a lanciare una politica che ricuce le falle delle nostre blastate periferie riqualificandole.
La Sovrintendenza archeologica non ha le risorse economiche per settare un parco archeologico a cielo aperto. E, quale che siano gli interrogativi della cittadinanza sullo stato dell’arte degli scavi, gioca il silenzio d’una relazione scientifica che doveva essere presentata in conferenza stampa alcuni mesi fa ma la cui pubblicazione fu sospesa poiché finanziata dai costruttori stessi. Il Coordinamento ha, pertanto, concretizzato, come impellente, l’invio di una diffida alla Sovrintendenza al fine di bloccare il nulla osta che decreta l’apertura dei cantieri e con la quale si chiede di rendere fruibile al pubblico quel patrimonio sommerso estendendo il vincolo di inedificabilità ad una fascia di rispetto molto più ampia.
Se l’area venisse cementificata, denunciano comitati e cittadini, gli effetti sulla viabilità urbana risulterebbero devastanti, provocando il collasso di una mobilità che risentirebbe delle mancate infrastrutture di trasporto pubblico su ferro a sostegno dell’implementazione degli utenti di quelle strade, aumentando il traffico e congestionandolo in modo pericolosamente definitivo con le 5 mila auto di pendolari in più al giorno. Un impasse, quello sulla mobilità, che la realizzazione della metro D fino a Roma 70 ed il prolungamento della metro B fino al Gra risolverebbero.
E’ chiaro che il diritto a che interventi di questa entità vengano realizzati solo a seguito di un adeguato progetto infrastrutturale risulti oltremodo severo e pretenzioso per i poteri forti, e quindi solo miseramente auspicabile dalla cittadinanza.
Nel progetto edilizio rientrano i 180 mila mc previsti dal vecchio piano regolatore del ’62, che era già sovradimensionato poiché predisposto per una città che contava 5 milioni di persone anziché 3, ai quali si accorpano i 220 mila mc (per un totale di 400 mila) che il Comune di Roma, in ridistribuzione degli oltre 2 milioni, devolse ai costruttori come premio in cubatura a titolo di rimborso per non aver potuto edificare il comprensorio nell’area di Tor Marancia, enclave verde, assegnata al Parco dell’Appia Antica nel 2002.
La vicenda di Tor Marancia racconta di un’edificazione miracolosamente scampata e di una grande vittoria ambientalista per la collettività, impegnata a rinnovarsi come società civile creativamente contagiosa e generatrice di politiche per il cittadino e il suo territorio.
Tra le azioni legali che il Coordinamento sta tentando c’è il ricorso al T.A.R che impugna la convenzione urbanistica dell’I-60, concernente dieci profili di illegittimità tra cui, ad esempio, quello che investe la delibera del comune per facilitare l’intervento dei costruttori senza che gli siano imposti gli oneri concessori altrimenti previsti.
Si avvicina la scadenza per la presentazione in procura allo scopo di finalizzare il ricorso.
Sono invitati a firmarlo i cittadini che abitano i palazzi contermini all’area dei confini I-60, anche se non affacciano direttamente: Viale Ballarin, Viale Giuseppe Berto, Via Mario Bianchini, Via Renato Cesarini, Via di Grotta Perfetta, Via Tommaso Maestrelli, Via Virgilio Moroso, Via Tazio Nuvolari, Via Mario Rigamonti, Via Shaw.
C’era una volta nel sistema costituzionale italiano un istituto di democrazia diretta che prendeva il nome di petizione popolare.
La costola cittadina in lotta contro l’abusivismo commissionato alla società edilizia PIETRO MEZZAROMA & FIGLI ne sguinzaglia una al fine d’ottenere il vincolo di tutela archeologica per l’area edificabile. Verrà presentata al Presidente della Repubblica, al Presidente della Giunta Regionale del Lazio, al Sindaco di Roma, al Ministro per i Beni e le Attività Culturali e al presidente del Municipio XI.
Monitorata come ottima l’affluenza nella raccolta di firme, il Coordinamento ha prorogato a data da destinarsi i termini di chiusura per la consegna dei moduli (ciascuno può contenere sino a 23 firme di persone residenti o che lavorano a Roma).
La petizione si tratteggia in due sostanziali obbiettivi: “incrementare il raggio dell’area inedificabile intorno al perimetro dei resti. Attualmente sono solo 3 metri, misura inadatta alla tutela di un’area archeologica; “istituire un parco archeologico che consenta l’adeguata conservazione e valorizzazione dei ritrovamenti”.
E’ indubbio che la cittadinanza sia, ancora una volta, chiamata in causa a difendere Roma dal cemento eterno che dilaga penosi condizionamenti.
