Grecia ed Europa: la sfida di Tsipras
l programma e gli obiettivi politico-economici del leader di Syriza appena eletto
Il 26 gennaio il popolo greco ha indicato in Alexis Tsipras la sua ultima speranza. Da quel giorno fiumi di parole sono stati scritti e pronunciati per far evaporare i contorni ben nitidi del programma elaborato dal partito Syiriza per rompere la gabbia dell’austerity.
Ciascuno Stato facente parte dell’Unione Europea può avere infatti un ruolo nella realizzazione di questo piano ma non molti sembrano volersene fare carico. Eppure, se a Syriza in Grecia seguirà Podemos in Spagna, il vento di cambiamento potrà passare per l’Italia e la Francia e finalmente arrivare fino a Bruxelles portando con sè soluzioni che non guardino alle Banche, come il quantitative easing di Draghi ma all’esigenza di fronteggiare la disoccupazione e di ristabilire le garanzie sociali in tutti gli Stati membri.
L’obiettivo greco più discusso è senz’altro quello della rinegoziazione del debito pubblico.
Questa pratica ha alla base l’idea che non si possa tenere in ginocchio un Paese perché ha accumulato un debito che non sarà mai in grado di ripagare.
Una contropartita interessante per l’alleggerimento del debito in favore della Grecia è quella che a fine anni ’90 avevano introdotto Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale per i Paesi poveri pesantemente indebitati, che prevedeva per il Paese oggetto di tale aiuto degli obblighi di riforma in direzione di un miglioramento sia economico che politico.
Il programma di Syriza già prevede delle riforme significative in tal senso, quali il ripristino di un salario minimo a 751 euro, la riassunzione dei dipendenti pubblici incostituzionalmente licenziati, lo stop a tre grandi privatizzazioni di settori di pubblico interesse (i porti di Pireo e Salonicco, la società elettrcia Dei), sgravi fiscali per i beni di prima necessità, combattere la fuga di capitali all’estero, tagli alla spesa militare e altro ancora. L’insieme di tutti gli interventi sociali perseguiti dal nuovo governo procurerebbe una spesa pubblica pari a circa il 7% del PIL.
La proposta dell’Europa è che invece venga esclusa la Grecia dai benefici dei nuovi piani della Bce finchè non ridurrà il deficit di almeno 2 punti in percentuale del Pil.
L’austerità rischia quindi di legare di nuovo le mani a tutti, continuando ad applicare regole automatiche stabilite ex ante, prive di alcuna coerenza con la realtà politica, economica e sociale dei Paesi che ne risultano toccati.
Ad oggi solo la Grecia sta affrontando di petto l’assurdità di questi limiti meramente numerici, ma se a ciò seguirà un’analoga presa di posizione spagnola corredata poi da un nuovo atteggiamento che sia netto e collaborativo da parte delle sinistre di Francia e Italia sarà allora possibile realizzare quella che è stata recentemente definita come una rivoluzione democratica venuta dal Sud.
Il Financial Times ha affermato negli ultimi giorni che ceare l’Eurozona è la seconda peggiore idea che i suoi membri abbiano mai avuto ma la peggiore in assoluto sarebbe smantellarla. La via d’uscita dalla spirale della recessione potrebbe quindi essere individuata non nello spingere via dall’Euro i Paesi che non riescono a stare al passo con le regole ma nel riscrivere i Trattati che le determinano e questo potrebbe avvenire se i Paesi coinvolti si contaminassero nella rivoluzione delle idee, pretendendo e promuovendo il cambiamento.

