Resistenze antigone

Pubblicato il 17 marzo 2015 | da Carolina Antonucci

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Antigone presenta l’Undicesimo Rapporto Nazionale sulle condizioni di detenzione

“Oltre i tre metri quadri”, un anno di monitoraggio degli istituti di pena italiani

È stato presentato questa mattina presso il Ce.s.v. (Centro Servizi per il Volontariato del Lazio) l’ XI Rapporto Nazionale sulle Condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone. Il rapporto dal titolo “Oltre i tre metri quadri” (Edizioni Gruppo Abele) è il risultato di un anno di monitoraggio su tutti gli istituti di pena italiani, per adulti e minori, condotto dall’Osservatorio Nazionale di Antigone che dal 1998 svolge questa attività girando per la penisola controllando le condizioni delle strutture e dei ristretti. Da due anni Antigone è autorizzata anche a fare uso i telecamere e, in collaborazione con l’Agenzia giornalistica Next New Media, offre una web-doc inchiesta costantemente aggiornata.

Quest’anno i numeri portano buone notizie. Il sovraffollamento, quel male che aveva portato l’Italia ad essere condannata dalla Corte Europea dei diritti umani con la sentenza pilota del caso Torregiani, non è un problema risolto – c’è ancora da lavorare secondo l’Associazione Antigone per il raggiungimento dell’obiettivo minimo di un detenuto per posto letto – ma sicuramente sono lontani i dati del 2011 in cui i ristretti erano 66.897. Al 28 febbraio 2015 i detenuti sono scesi a 53.982. Diverse le motivazioni: dal calo dei reati, passando per l’incostituzionalità della Fini-Giovanardi sulle droghe, arrivando alla preferenza – ancorché per ragioni meramente deflattive – per le misure alternative al carcere, prima fra tutte la detenzione domiciliare. E qui cominciano le ombre. È stata definita “retorica politica” la tendenza a far coincidere la diminuzione della popolazione detenuta con l’aumento reale dei beneficiari delle cosiddette misure alternative al carcere. Interessante notare come tra queste misure quelle applicate con frequenza siano solamente quelle che hanno un’esclusiva finalità deflattiva dei numeri delle detenzioni, come appunto la detenzione domiciliare. Mentre rileva il carattere assolutamente residuale di quelle misure alternative realmente volte all’obiettivo della risocializzazione del condannato e che non prescindono dalla funzione di reinserimento, come l’affidamento in prova.

Si inseriscono in questa contraddizione le misure di sicurezza – inquietanti quanto pressoché sconosciute all’opinione pubblica – delle Case di lavoro e Colonia Agricola, di quella che l’Osservatorio ha giustamente definito una “pena oltre la pena”. Destinatari i queste misure sono principalmente condannati che, dopo avere scontato la propria condanna a fine pena vengono considerati ancora socialmente pericolosi. Non c’è previsione di un maximum e le proroghe possono essere infinite. Risultato, ci sono persone dimenticate al loro interno da decenni, condannate ad una vita senza uno scopo.

E ancora il dato sui suicidi che a detta dell’Osservatorio “rimane una delle principali patologie del sistema penitenziario italiano, legata all’incapacità del sistema di intercettare le singole storie di disperazione”. Storie che parlano di dipendenza, di malattie – un detenuto su tre è affetto da patologie psichiatriche – o che, più semplicemente, parlano altre lingue. I detenuti stranieri sono il 32% della popolazione ristretta. Per loro le difficoltà si moltiplicano. Difficoltà linguistiche, religiose, ma anche di comunicazione con le famiglie di origine. Basti immaginare che i detenuti possono telefonare solo verso telefoni fissi con tempistiche stabilite dall’amministrazione che difficilmente collimano con le esigenze di chi ha famiglia in un paese lontano. Sono solo 4 gli istituti in tutta Italia dove è stato sperimentato l’uso di Skype per le comunicazioni la cui modalità standard rimane, dal 1975, la lettera e il francobollo.




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