Retake Roma e l’equazione del decoro
Armati di scope e pennelli i volontari di Retake Roma raggiungono Roma Sud. Tra legalità e decoro, quali spazi per la cultura?
I “volontari del decoro” sbarcano anche nel Municipio VIII. Il gruppo conosciuto come Retake Roma ha infatti organizzato due eventi nelle ultime settimane per ripulire i muri delle stazioni Piramide e San Paolo, rispettivamente il 18 e il 29 settembre. Manifesti, tag e adesivi sono stati staccati e ripuliti nel consueto stile del movimento che si sta espandendo a macchia d’olio in tutta la Capitale. Impostosi anche nel territorio di questo Municipio, Retake sta riaprendo il dibattito sul decoro urbano nella città.
Nato nel 2009 per iniziativa di un gruppo di italiani e americani, il movimento guidato da Rebecca Spitzmiller ha saputo coinvolgere molti cittadini nelle sue azioni (o “clean up”, come vengono definiti da loro stessi) in giro per la città. In collaborazione con Roma Capitale, Retake Roma ha come obiettivo quello di “ripulire Roma dal vandalismo di scritte sui muri, adesivi e sporcizia che devastano la città eterna”. Bambini, adulti e anziani partecipano con entusiasmo, confermando uno dei principali obiettivi delle iniziative: coinvolgere gli abitanti e favorire progetti di cittadinanza attiva. Il malcontento che serpeggia tra la popolazione per l’abbandono dei luoghi di Roma e il sentimento di vuoto istituzionale vengono facilmente catalizzati da questo movimento che della legalità fa il suo punto forte.
Ma il vessillo del decoro urbano rischia di nascondere una realtà spesso più complessa dell’equazione “pulito e legale = decoroso”. Rimangono infatti esclusi da questo ragionamento diversi concetti come quello del valore artistico, affrontato in modo particolare da Retake, che sembra assegnare il titolo di arte solo ad opere che siano state realizzate con precedenti autorizzazioni, negandolo a quegli artisti che si muovono indipendentemente dal ristretto panorama di muri concessi dall’amministrazione capitolina e spesso in zone completamente dimenticate da essa. Ed è probabilmente tagliata fuori, da questa equazione, anche la necessità di espressione e promozione di realtà piccole e grandi che agiscono quotidianamente producendo cultura sul territorio. Queste realtà, associazioni, centri sociali, reti, piccoli gruppi di cittadini sono privi di spazi per promuovere le loro attività e far conoscere i loro progetti, e tentano di riprendere gli spazi a loro negati. Tutto questo, ovviamente, leggermente oltre i limiti di quella legalità che troppo spesso vincola e non tutela.
Si apre quindi una sfida a Roma che vede contrapposti il decoro urbano all’espressività, e che si gioca sul terreno della condivisione degli spazi comuni. Il rischio è di catalizzare il malcontento dei cittadini su chi rivendica spazi e non su chi li nega.
Vale la pena di riflettere, comunque, sul fatto che un muro bianco è un muro anonimo. L’anonimità non restituisce i luoghi a tutti, ma li rende ancora una volta di nessuno.

