Glocal rojava

Pubblicato il 10 settembre 2015 | da Fabio Ferrari

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Carovana Internazionale per il Rojava, una partenza “calda”

L'obiettivo dell'iniziativa è l'apertura di un corridoio umanitario tra Kobanê e la frontiera turca, mentre in Siria si inasprisce il conflitto

C’è un appuntamento, nella città curda di Suruç, in Turchia, località gemella di Kobanê a pochi chilometri dal confine siriano, che non deve assolutamente rimanere sotto silenzio.
A Soruç, a partire dal prossimo 15 settembre, si terrà la Carovana Internazionale per il Rojava, evento convocato dai movimenti per promuovere la pace, per sostenere la stabilità in Siria e nelle regioni liberate dal terrorismo.

Come riporta il comunicato pubblicato sul sito dell’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia, data la situazione emergenziale in cui versa la città martire di Kobanê, la prima urgenza è richiedere l’apertura di un corridoio umanitario dalla Turchia. L’obiettivo degli attivisti è di esercitare pressioni nei confronti dell’ ONU che, implementando l’art.2 della Risoluzione 2165 del 14 Luglio 2014, potrebbe essere in grado di garantire l’apertura di un ulteriore valico di confine. Le richieste riguardano anche l’ingresso a Kobanê di un convoglio umanitario da costruire nelle prossime settimane, come atto concreto della solidarietà internazionale.

Dall’Italia, oltre agli attivisti dei movimenti che hanno animato la campagna Rojava Calling, è prevista anche la presenza di due parlamentari di Sinistra Ecologia e Libertà, Giovanni Paglia e Franco Bordo.

La carovana si troverà di fronte ad un quadro particolarmente complesso. Nelle ultime settimane lo scenario siriano è tornato alla ribalta internazionale. Il flusso migratorio delle migliaia di profughi, prodotto dalla guerra civile, è arrivato alle porte dell’Unione Europea, riaccendendo le luci sulla tragedia in corso. Di fronte all’emergenza migratoria le reazioni dei paesi del vecchio continente sono state nettamente diverse. Se da una parte l’Ungheria ha deciso la costruzione di un muro per impedire ulteriori passaggi, la Germania e l’Austria hanno aperto le braccia dell’accoglienza.

Tornando alla Siria, l’acuirsi di un conflitto ormai quasi quinquennale, dove nessuna delle parti in campo riesce a sopraffare l’altra, sta producendo importanti cambiamenti strategici anche sul piano militare.

Mentre i curdi e le altre popolazioni del Rojava, proclamato il governo autonomo secondo i principi del confederalismo democratico, consolidano le proprie posizioni nei territori liberati dall’Isis durante l’offensiva dell’ultima primavera, anche la Turchia mostra i muscoli. L’adesione di Ankara alla coalizione internazionale anti Isis si è però rivelata una mossa più che altro rivolta contro l’opposizione interna, sia quella parlamentare costituita dall’Hdp, partito della sinistra che alle ultime elezioni ha ottenuto lo storico risultato del 13% impedendo all’Akp di Erdogan la conquista della maggioranza assoluta, che quella etnica costituita prettamente dai curdi, polposa minoranza da sempre vessata dal governo centrale turco. Le operazioni antiterrorismo lanciate da Erdogan hanno di fatto rotto il processo di pace in corso con la guerriglia curda del Pkk, scatenando violenze in gran parte del paese.

Altra novità delle ultime ore riguarda la Russia, che starebbe fornendo un gran numero di armi pesanti e truppe all’alleato Assad, suscitando le preoccupazioni degli Stati Uniti. Se dal Cremlino giustificano la mossa in chiave di lotta al terrorismo, gli Usa hanno espresso forte contrarietà, sebbene la posizione della coalizione internazionale, guidata dalla Casa Bianca in funzione anti Isis con bombardamenti aerei sulle postazioni dei jihadisti, rimane ambigua. Molti analisti sostengono che una più decisa offensiva permetterebbe la quasi neutralizzazione dello Stato Islamico, cosa che al contempo significherebbe però la scomparsa di un importante antagonista di Assad, che gli Usa vorrebbero fuori gioco.

Se da un lato può sembrare radicale affermare che il fondamentalismo islamico sia un prodotto del capitalismo, va ricordato come lo scorso giugno l’importante quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato un documento dell’intelligence statunitense, che rivela come l’Isis sia stato protetto dagli Usa in funzione anti Assad, fino al momento in cui il movimento jihadista non ha deciso di mordere la mano dalla quale mangiava. Una storia molto simile a quella di Al Quaida in Afghanistan, che tutti sanno come sia finita.

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