Dispacci controllo del vicinato

Pubblicato il 7 marzo 2015 | da Matteo Picconi

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Controllo del Vicinato, che rischio si corre

Cresce l’interesse per l’ACdV, pro e contro del controllo volontario dei cittadini sulla sicurezza del territorio

Sembra di essere tornati alla vigilia delle elezioni comunali del 2008, quando a Roma la parola “sicurezza” rimbalzava ad ogni angolo di strada e si invocava lo “sceriffo di quartiere”. In sette anni la situazione è mutata. Fenomeni di nuova politica dal basso, come quello attuato dal M5S, o di protesta mediatica dai vaghi tratti politici in stile “Roma fa schifo”, hanno contribuito a cambiare “l’abito ma non il monaco” intorno al tema della sicurezza del territorio. Ed è proprio in questo nuovo contesto che si inserisce la novità delle ACdV, Associazione Controllo del Vicinato, una “rete territoriale di volontari e specialisti volontari che forniscono consulenza e supporto gratuito alle amministrazioni comunali, alle associazioni locali e a privati cittadini”.

Non è un’invenzione romana, tanto meno dei giorni nostri. Tale tipologia associativa discende dai “Neighbourhood Watch” nati negli USA tra gli anni ’60 e ’70 e adottati con particolare successo nelle cittadine inglesi a partire dai primi anni ’80. In Italia rappresentano una scoperta recente, costituitesi in ACdV solo nel 2013 dopo le prime esperienze nelle province di Varese e Milano. Per quanto riguarda la Capitale, nel giro di pochi mesi questo progetto, promosso soprattutto dal criminologo Francesco Caccetta, responsabile dell’associazione per l’Italia centrale, sta riscuotendo un discreto successo nella periferia sud, in prossimità del nostro municipio, soprattutto nelle zone di Fonte Laurentina e Castel di Leva .

Programma.pagesNumerose sono le teorie criminologiche richiamate da questo progetto, su tutte quella della “prevenzione situazionale”, volta ad “adottare misure di prevenzione finalizzate a ridurre l’opportunità dell’evento criminale”. Dottrine sicuramente interessanti che però lasciano discreti dubbi, sia dal punto di vista teorico che empirico. Prendendo spunto dal programma dell’ACdV, si evince che per ricoprire uno dei tre ruoli previsti in qualità di soci (coordinatore, referente di zona e “esperto” volontario) non occorre essere in possesso di alcuna qualifica, né necessita l’acquisizione di un titolo. Eppure per questo progetto un qualsiasi cittadino, un volontario, richiamandosi alla “teoria dell’attività routinaria” (Cohen-Felson), in assenza di un controllore idoneo e in presenza di un “disponibile bersaglio” (oggetto o soggetto in pericolo) e di un potenziale aggressore, può svolgere la sua opera di prevenzione prima ancora che l’evento criminoso possa verificarsi. Sembra quasi che si parli dell’ovvio ma non è così. Conferire tale capacità ad un individuo non idoneo, anche se in buona fede, può comportare un danno immotivato ad altri soggetti. Seppur specificato in più punti che il ruolo del cittadino-controllore è solo di supporto, di mera segnalazione, rimane oscuro il criterio di valutazione in merito al potenziale evento criminoso.

Da un punto di vista pratico, l’ACdV ha ottenuto buoni risultati soprattutto nei piccoli centri abitati o nelle zone residenziali più periferiche, dove l’autoorganizzazione dei cittadini è favorita dalle circostanze. Di qui ne discendono tutti i lati positivi di questo progetto: la sensibilizzazione e l’individuazione da parte della collettività delle c.d. “vulnerabilità” (strutturali, ambientali e comportamentali); una maggiore informazione tra cittadini; un incremento alla partecipazione e al perseguimento di interessi comuni. Il discorso cambia radicalmente quando questi stessi obiettivi si pongono in una grande città come Roma. È lecito quindi chiedersi che frutti possa portare il Controllo del Vicinato nei focolai della città, nelle zone “calde”, dove persistenti tensioni sociali minano alla convivenza tra le diverse realtà presenti sul territorio. Risulta doveroso interrogarsi sul “perché” si sceglie questo percorso e “da chi” possa essere intrapreso. Basti pensare ai gravi fatti di Tor Sapienza per comprendere il rischio che un progetto simile può portarsi dietro. Richiamando ancora il programma dell’associazione, non è previsto, anzi è sconsigliato, il pattugliamento, la fatidica ronda. La domanda viene naturale: come evitare che questo accada? Chi vigila sull’operato del volontario? Anche la figura del coordinatore, ruolo chiave delle ACdV, lascia qualche serio dubbio. Esso ha il compito di filtrare le segnalazioni dei cittadini e di passare le informazioni alle forze dell’ordine. Per essere una persona non qualificata, il suo margine decisionale e d’azione è abbastanza ampio.

In realtà, visto con occhio più distante, il Controllo del Vicinato potrebbe essere più fumoso di quanto sembra. Le segnalazioni, l’autoorganizzazione, la collaborazione con le forze dell’ordine, sono tutte azioni che il cittadino ha sempre potuto svolgere. Il problema di fondo è che questo progetto non si presenti come un momento di crescita per i cittadini ma come una risposta, e quindi una soluzione, ai “problemi” della città. Forse è per questo che sembra di essere tornati indietro di sette anni, quando a Roma si aspettava l’arrivo dello sceriffo.

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