Cultura

Pubblicato il 30 gennaio 2013 | da Lorenzo Baldarelli

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Battaglia “nerd”: le ingiustizie e le censure di Google

L'azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin ha ormai imposto il proprio monopolio sulla pubblicità in rete, con la nascita di Android e delle applicazioni per smartphone e tablet sembra quasi che voglia spingersi anche nella sfera culturale. Una storia emblematica a tratti assurdi che arriva dalla Garbatella

Nel 2010 Massimo e un suo collega aprono un account su Google, il loro scopo è fare e vendere applicazioni per Android molto semplici ma sviluppate con una nuova tecnologia. Il loro script (programma o sequenza di istruzioni che viene interpretata o portata a termine da un altro programma), infatti, può adattarsi ad ogni piattaforma senza scaricare nulla sul dispositivo. Nel giro di poco tempo rilasciano 5 applicazioni, per lo più giochi e fumetti, riscontrando un buon successo e cominciando a fare anche qualche utile. “Insomma – ammette Massimo di Vita – le cose andavano bene ben oltre le nostre aspettativa”.

Visti i buoni risultati, lo scorso anno, i due programmatori decidono di sviluppare una nuova applicazione, questa volta dal taglio comico-erotico. Un seno prosperoso con capezzoli che interagiscono con le dita dell’utente, “touch me”. Nulla di trascendentale.
E qui iniziano i problemi, per prima cosa va specificato che nella guida dello sviluppatore si parla di censura solo in caso di “nudi”, termine fin troppo generico e relativo. “Il concetto di nudità – viene riportato da Wikipedia – dipende dal punto di vista culturale (in passato una donna che avesse esposto le caviglie era considerata nuda)”. Per correttezza va anche detto che Google nelle sue note si riserva di cancellare account senza dare spiegazioni o giustificazioni. Alla faccia della libertà della rete.

L’applicazione rimane in rete per qualche mese, poi qualche utente decide di segnalarla e Google, senza avvisare, la elimina, ma con lei anche l’account dei due programmatori romani e i loro soldi accumulati negli ultimi tempi e frutto anche delle precedenti applicazioni, oltre 400 euro. A questo punto Massimo decide di scrive una lettera tra il sorpreso e l’irritato: “Sono di Roma, sono Italiano e fino a ieri credevo scandalosa la nudità femminile solo per gli stati di matrice islamica. La mia città, per quanto sacra e santa è piena di seni nudi. In questa città ci sono una quantità incredibile di meravigliosi dipinti e statue nelle strade e nelle chiese e nei monumenti di enorme valore storico ed artistico dove si possono ammirare seni e capezzoli femminili. Spesso i seni sono di qualche antica divinità, forse di Venere o di Minerva, forse di una ninfa o magari sono di Camilla, la vergine guerriera che combatteva a petto nudo contro Enea al fianco di Turno. Ma tra i seni che qui possiamo ammirare ci sono quelli di grandi donne della storia come Paolina Borghese o Lucrezia Borgia. Altre volte sono semplici decorazioni cittadine come la fontana delle naiadi o addirittura vi sono seni e capezzoli usati per decorare chiese, come la chiesa di Fontana di Trevi, nei seni femminili qui non ci sta assolutamente niente di scandaloso”.

“Vorrei spendere due parole anche sul termine multiple – continua Massimo -. Il mio account è stato cancellato e i soldi li avete tenuti tutti (anche quelli guadagnati con le altre app) ma la violazione è stata solo una, o meglio mi avete mandato una email avvisandomi del problema alle 11:59 ed una seconda email con la notifica della cancellazione alle ore 12:00. UN SOLO MINUTO? Non ho quindi avuto in pratica nessun avviso (come da contratto) per una possibile revisione, a dir poco il vostro atteggiamento è scorretto”.

Ma non ci sono scappatoie, Google nemmeno risponde. I due programmatori sono esclusi per sempre. Questo può sembrare un caso singolo, semplice e lineare; in realtà dietro si annida una problematica che, con il progressivo sviluppo della rete, ci coinvolgerà tutti. Anzi no ci coinvolge già tutti.
Dalla storia appena raccontata emergono alcuni nodi inquietanti, in un mondo, come quello virtuale, la libertà sembra farla da padrona; in realtà le nostre libertà devono essere le libertà del popolo americano. Gli Stati Uniti applicano le loro leggi i loro principi, con politiche monopolistiche, a tutta internet. In questo caso hanno applicato la loro visione puritana e un po’ boicotta del nudo, ma tutti i nostri pensieri, le nostre foto, le nostre esperienze se condivise sui social network risiedono negli Usa. Enormi palazzi raffreddati e controllati fungono da enormi magazzini delle nostre vite. Magazzini a cui noi e le nostre autorità non posso accedere.

Ma come si possono contrastare questi colossi? Massimo ci risponde per lui: “Io, pure se deluso e arrabbiato, sono costretto per lavorare a rifammi un account Google. Il suo monopolio sulla pubblicità è quasi totale, quale sarà il mio stratagemma? Semplice, creerò un account falso, forse userò il nome di mia madre”.

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Autore

Giornalista che ama la fantascienza, le biciclette, la lettura, le cose belle e le stelle.



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