Pubblicato il 16 aprile 2015 | da Cecilia Chianese
Timbuktù – Il dolore di un popolo
In concorso a Cannes 2014, candidato all’Oscar come migliore film straniero, il film di Sissako ci mostra in maniera umana e realistica, la resistenza di un popolo all’invasione degli jihadisti
Ultima opera del regista mauritano Abderrahmane Sissako, il film ci mostra gli effetti della guerra civile in Mali, quando nel 2012 un gruppo di separatisti dichiarò l’indipendenza e rovesciò il governo centrale, per essere quasi immediatamente scalzati a loro volta dai fondamentalisti islamici, che imposero le loro leggi nel nord del paese. Un anno dopo, l’arrivo delle truppe internazionali mise fine all’invasione. Tuttavia Sissako non racconta nulla di tutto questo, ed espone gli effetti dell’occupazione senza soffermarsi a “spiegare” ciò che stiamo vedendo. Il suo sguardo si concentra sulle vite degli abitanti di Timbuktù, e sulle quotidiane ingiustizie e vessazioni insensate alle quali vengono sottoposti dagli jihadisti. Osserviamo dunque l’ingresso degli jihadisti in città, e ascoltiamo l’elenco di norme assurde che impongono ai suoi abitanti, tra le quali il divieto del gioco del calcio, il divieto del canto, l’obbligo per le donne di coprire ogni parte del proprio corpo, comprese le mani tramite guanti. Timbuktù è un film sui controsensi, sui paradossi incarnati dal fondamentalismo, un corpo estraneo nonostante il contesto musulmano in cui si inserisce. “Dov’è la clemenza, dov’è il perdono? Dov’è Dio?” Chiede l’imam della città al leader jihadista con il quale si confronta. Molti degli invasori vengono da paesi stranieri, alcuni sono occidentali “pentiti”, e Sissako mostra l’eterogeneità delle loro origini tramite le varie lingue che si intrecciano: francese, arabo, bambara, ed un inglese improbabile per capirsi tra loro. Quella mostrata dal regista è dunque una babele caotica, un multi culturalismo alla rovescia, sotto il segno della regressione storica e culturale piuttosto che dell’avanzamento. Mentre a Timbuktù regna l’ingiustizia, il pastore berbero Kidane vive sereno in una tenda nel deserto, insieme all’amata moglie Satima ed alla figlia Toya. Quello che succede in città non sembra inizialmente riguardarlo, finchè, colpevole di un omicidio parzialmente involontario, Kidane si troverà a dover fare i conti con la legge imposta dalla Jihad. Nella scena della condanna a morte del pastore, viene smascherata la cieca violenza della supposta “giustizia” degli jihadisti, che impongono semplicemente la regola tribale dell’occhio per occhio. “Io non temo il destino, non temo il volere di Allah, l’unica cosa che temo è non poter rivedere mia figlia, abbandonarla senza vederla crescere”, dice l’uomo al giudice jihadista che ne ha appena decretato la morte. Sissako non si sofferma e non mette alcuna enfasi nelle scene di violenza, se non in rare occasioni, come quando mostra le lacrime di una donna frustata in pubblico, colpevole di aver cantato nel privato della sua casa. La scena della lapidazione di una coppia di adulteri è ripresa quasi “di fretta”, non viene dedicato più di un istante alla messa in mostra di un atto talmente terrificante che lo stesso regista sembra mostrare controvoglia, per puro dovere di cronaca. L’intento del regista è di denuncia, ma per fare questo non servono dichiarazioni d’intenti, urla e grida in favore della libertà, all’opposto è la realtà a parlare; se nel suo precedente film Bamako, il regista mostrava un vero e proprio processo intrapreso dalla società civile africana nei confronti dell’occidente, rappresentato nella sua forma più sordida dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, in Timbuktù la realtà irrompe nello schermo tramite racconti interpretati da attori, ma che potrebbero essere avvenuti nella stessa identica maniera tramite la quale vengono mostrati nel film. È un cinema, quello di Sissoko, che pare rivolgersi direttamente agli spettatori oltre lo schermo, e affermare: guardateci! Non voltate lo sguardo da un’altra parte.
Titolo originale: Timbuktù
Lingua originale: arabo, francese, tamashek
Paese di produzione: Francia, Mauritania
Regia e sceneggiatura: Abderrahmane Sissako
Interpreti: Ibrahim Ahmed, Abel Jafri, Hichem Yacoubi, Toulou Kiki.


