Pubblicato il 13 ottobre 2015 | da Cecilia Chianese
Omaggio a Claudio Caligari
Una folla immensa, stipata all’interno del centro sociale La Strada si è stretta ieri attorno ai protagonisti, al produttore e ai co-sceneggiatori di Non essere cattivo: Alessandro Borghi, Luca Marinelli, Valerio Mastandrea, Francesca Serafini e Giordano Meacci si sono riuniti per celebrare con un ultimo metaforico abbraccio il genio sottostimato di Claudio Caligari, i cui tre unici lungometraggi rappresentano delle perle rare nel panorama cinematografico italiano.
«È un’emozione, una cosa bella tutta questa partecipazione – ha affermato Valerio Mastandrea – ma allo stesso tempo è anche una sofferenza, un po’ una rosicata che lui non possa essere qui…». Mentre riprendendo le parole dell’assessore municipale alla Cultura Claudio Marotta, che ha definito Non essere cattivo «una storia semplice, che tocca al cuore della città», il co sceneggiatore del film Giordano Meacci ha sottolineato, «Claudio era universale nei racconti che faceva, ma estremamente puntuale nella definizione artistica. Io vedo quello che sta raccontando e mi ci sento immerso ma lui sta in realtà metaforizzando il suo modo di vedere la vita, per noi e per lui», mentre Francesca Serafini ha sottolineato come La Strada sia stato il luogo perfetto per ricordare un uomo come Caligari: «Queste sono le persone a cui lui si rivolgeva e quindi siamo nel luogo perfetto con il pubblico perfetto per mostrare le sue storie». Alessandro Borghi ha sottolineato con affetto come «questo progetto non mi abbandonerà mai, a differenza di altri progetti. Io e Luca (Marinelli) ci siamo ritrovati gradualmente dal fare determinati personaggi, all’essere i personaggi stessi. Ed in tal senso ti assale una malinconia profonda quando senti che il personaggio ti sta gradualmente abbandonando».
In conclusione, riprendiamo le parole del poeta Meneghello, dedicate da Francesca Serafini al regista che ha così bene colto l’anima profonda di Roma e dei suoi dintorni: «Vorrei vedere la gente fremere d’amore intellettuale di Dio, lavorare con piacere, fabbricare giocattoli appassionanti, sciare ardita sulle coste dei monti, nuotare a farfalla lungo le coste dei mari; sentirla cantare inni di elementare grazia e potenza, avendo per inno nazionale un Inno alla mortalità in cui si esprimesse la rassegnazione a questo sgradevole aspetto della vita, e la contentezza di potere intanto produrre affetti e odi sereni, begli edifici, dolci macchine lisce come l’ olio, istituti severi e soavi, e quell’ onestà nel fare e nel non fare che (quando c’ è) cancella la paura e perfino il rimpianto di non sopravvivere per sempre».


