Pubblicato il 14 maggio 2015 | da Cecilia Chianese

Leviathan – Il mostro del potere

Il film del regista russo Andrej Zvjagintsev, vincitore del Golden Globe 2015 come miglior film straniero e del premio alla miglior sceneggiatura a Cannes 2014, è una parabola amara sull’arroganza del potere.

Il manovale Kolia, vive a poca distanza da una cittadina russa sul mare di Barents, insieme alla giovane moglie Lylia ed al figlio avuto dal precedente matrimonio, l’adolescente Roman.

Con lui vi è sin dall’inizio l’amico fraterno Dmitriy, impegnato come suo avvocato nel tentativo di difenderlo da una causa per sfratto intentata dal sindaco corrotto della cittadina, Vadim Cheleviat, che ha oramai da tempo puntato la casa di Kolia come luogo ideale per mettere in atto le sue speculazioni edilizie (nel finale del film, a culmine dell’ironia tragica della storia mostrata, vedremo che il sindaco aveva in mente la costruzione di un’enorme ed orrenda chiesa).

Leviathan inizia dunque da quella che potrebbe sembrare una fine: dopo infinite battaglie legali contro il sindaco della cittadina, nonostante il prezioso aiuto dell’amico avvocato, Kolia e sua moglie si vedono rifiutare l’ennesima istanza. Tale istanza è rifiutata da parte di un giudice e di una giuria tutt’altro che imparziali, scopriremo di lì a poco, vedendoli nello studio del sindaco mentre insieme alle forze dell’ordine tramano per difendersi l’un l’altro dalle accuse di Kolia e di Dmitriy. Ma quello che fin dalle prime scene si prefigura come un dramma, è solo l’inizio di una serie di sventure che si abbatteranno su Kolia e sui suoi cari, “rei” di una colpa per la quale non vi è perdono: aver sfidato la crassa arroganza del potere per difendere i propri diritti. La grave colpa dell’ aver alzato la testa, non sarà tollerata né dal sindaco né dai piccoli potentati della cittadina, ben consapevoli che se si mette a rischio un pezzo dell’ingranaggio, anche gli altri possono saltare, e dunque da subito attivi nella difesa dello status quo, anche a costo di mentire, di avallare cause ingiuste verso innocenti per reati non commessi, ed al contrario di nascondere le violenze inenarrabili perpetrate dal sindaco.

L’enorme scheletro di una balena spiaggiata, che il giovane Roma si sofferma a volte ad osservare nell’arco del film, è il simbolo di un ente mostruoso che incombe su tutti, ma che nello specifico si accanisce su Kolia e sulla sua famiglia, colpevoli di non cedere al volere dello Stato, qui rappresentato come un’entità sadica e persecutoria. La parabola di Giobbe, punito per aver messo in discussione il volere di Dio, viene esplicitata verso la conclusione del film (durante una conversazione tra un Kolia già distrutto, che affoga il dolore nell’alcol, ed un ottuso prete che risponde ai suoi dubbi accusandolo di non andare abbastanza spesso in chiesa a confessare i suoi peccati). Tale parabola è però nel film abbassata ad un livello completamente laico e terreno, e le colpe di Kolia, Dimitriy e Lylia risiedono unicamente nel tentare di rifiutare e combattere contro una realtà difesa dalla stessa ipocrisia della chiesa.

Quello del regista Andrej Zvjagintsev è dunque un grido di rabbia, che investe la società russa nella sua interezza, e che rimanda, per il tormento morale di cui si fa carico, alla migliore letteratura russa, ed al contempo si richiama a figure allegoriche come il Leviatano biblico da cui trae il titolo, ed alla filosofia hobbesiana. In questa parabola sull’homo homini lupus, all’interno della quale la donna è la prima ad essere schiacciata, le ruspe che verso il finale del film distruggono la piccola abitazione di legno che Kolia aveva costruito negli anni con le sue mani, sono solo l’ennesima rappresentazione di una forza inesorabile, inarrestabile, che distrugge chiunque si metta di mezzo nel suo cammino.

leviathan

Titolo originale: Leviathan
Paese di produzione: Russia
Anno: 2014
Regia: Andrej Zvjagincev
Cast: Vladimir Vdovichenkov, Roman Madyanov, Aleksei Serebryakov, Elena Lyadova.

 

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