Pubblicato il 10 giugno 2015 | da Cecilia Chianese

Louisiana the other side – La decadenza di un impero

Quarantacinquenne naturalizzato in America, il documentarista Roberto Minervini si sposta per il suo quinto lavoro dal Texas rurale di Stop the pounding heart alla Louisiana in The other side, ricevendo il meritato premio nella sezione Un Certain Regard all’ultimo Festival di Cannes.

 Nella prima scena del documentario, un uomo si sveglia nudo, ai bordi di una strada di campagna, e come se nulla fosse si avvia in una direzione che non ci è dato sapere. Nella scena seguente, lo stesso uomo, Mark, va a trovare sua sorella, ed insieme a lei ed al figlio adolescente fumano crack per tutto il pomeriggio. La sera Mark si sposta in un bar, dove si incontra con la sua devota fidanzata Lisa. Come suggerito fin dalle prime inquadrature, quello realizzato da Minervini è il ritratto di un’umanità marginale, dolente, che si aggrappa alle briciole di felicità che la vita le concede.

 In una zona in cui il tasso di disoccupazione raggiunge il 50% Mark e Lisa, rappresentanti di quella che viene definita la “white trash”, ossia la comunità di bianchi che vivono al limite della soglia di povertà, sopravvivono nella quasi totale anarchia, spacciando e producendo metanfetamine. Nonostante lo squallore del loro quotidiano, Minervini li immortala in una routine fatta anche di un grande affetto reciproco, di gesti di amore ed attenzione quotidiana, seppur scanditi dall’assunzione costante di droga. Il documentarista si immerge e sosta nel loro quotidiano per mostrarci immagini dalla naturalezza impressionante. I suoi personaggi non temono di esporsi alla telecamera senza alcuna sovrastruttura, mantengono intatte una spontaneità e spudoratezza raramente viste al cinema. In questo modo lo stesso Minervini argomenta il suo bisogno di catturare gli attimi più intimi, a volte teneri, a volte osceni: “In certi momenti non si può fingere, i narcisismi non possono contaminare un intero film. E poi le riprese sono il frutto di convivenze durate mesi, le maschere cadono. In Louisiana sono andato a girare con mia moglie e i miei due bambini di 4 e 2 anni. Le persone con cui sono entrato in contatto sanno chi sono e dove abito, uno dei veterani è venuto qui al Festival”.

 Minervini riesce a cogliere tutte le sfaccettature di questo mondo a parte, fiero della propria libertà, ed al contempo sofferente ed alienato. Un popolo di abbandonati, e dunque rabbiosi, che si auto-governano e scandiscono le loro giornate con riti che servono da sfogo, nella soffocata consapevolezza di essere gli ultimi degli ultimi. Il regista dunque riprende gli anziani reduci della guerra del Vietnam, mentre si sbronzano parlando di politica; ma principalmente si focalizza sui reduci della guerra in Iraq, la cui abitudine alla violenza ha instillato in loro una paranoia perpetua, un senso di perenne rischio. Gli invasori si avvicinano, dobbiamo essere pronti a difenderci, sostengono gli istruttori capi delle milizie para militari che si allenano al tiro nelle campagne della Louisiana. Così osserviamo da vicino gli occhi di un maciste tutto muscoli, bagnarsi di lacrime quando ricorda ai suoi compagni il significato del 4 luglio per tutta l’America. Vi è un attaccamento disperato ad un senso di comunità, percepita come perennemente sotto attacco. Comunità che focalizza il proprio odio contro Obama, accusato di essersi dimenticato della loro esistenza, e difende a spada tratta i valori del peggior conservatorismo repubblicano. Il regista non nasconde che vi sia un intento politico nel suo documentario: “Volevo rappresentare non solo la condizione di povertà e dipendenza dalle droghe, ma anche indagare e comprendere il sentimento di rivalsa e di rabbia che tiene unita questa comunità di bianchi, dispersa nel profondo nord della Louisiana” spiega in un’ intervista, e prosegue affermando: “descrivo l’America in corto circuito, quella in cui cittadini e istituzioni non si parlano, e dove la politica ostruzionista della destra punta solo a far cadere il governo Obama”.

 Eppure la riuscita del documentario è dovuta alla totale assenza di giudizio, e alla condivisione ed empatia nei confronti degli uomini e elle donne mostrati, che si sono affidati a lui totalmente. Non è dunque un occhio “severo” quanto piuttosto anch’esso dolente, quello che mostra “gli umiliati e offesi” della società americana giunta al collasso, sull’orlo di un baratro civile e morale che ancora fa fatica a riconoscere, incarnata da personaggi che cercano nella droga, nelle armi e nel fanatismo un ultimo rifugio prima della definitiva resa all’abbandono e all’oblio.

Regia: Roberto Minervini

Cast: Mark Kelley, Lisa Allen, James Lee Miller

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 92′

Produzione: Okta Film, Agat Films & Cie, ARTE France, Rai Cinema

Sceneggiatura: Roberto Minervini, Denise Ping Lee

Fotografia: Diego Romero Suarez-Llanos

Montaggio: Marie-Helen Dozo

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