Le donne e il calcio, dalla regola del fuorigioco all’omosessualità
Il sessismo nel nostro paese e una riflessione dell'Atletico San Lorenzo sulle parole del Presidente della LND Belloli
Essere donna nel nostro Paese non è un esercizio semplice. La cultura dominante ci sottomette ad un dominio maschile che è latente e pervasivo, che lascia pochissimi spazi di libertà e di differenza a quelle donne – purtroppo poche – che con coraggio, ostinazione e consapevolezza vivono semplicemente la loro vita nel rifiuto di aderire a quegli schemi “classici” cui la tradizione, la morale cattolica, il decoro della gente perbene, le relega senza colpo ferire.
Da qualche giorno ci ritroviamo a parlare, tutti e non quei pochi e quelle poche che ci si dedicano con passione da anni (passione, sacrifici e basta), di calcio femminile. Uno sport, il calcio che muove a livello internazionale interessi e soldi da far tremare le vene e i polsi, ma che è sufficiente pensarlo donna per renderlo – in Italia più che altrove – un povero mendico da scacciare con urto.
Felice Belloli, presidente (dimissionario?) della Lega Nazionale Dilettanti, ha verbalizzato una volta per tutte questo urto. Le calciatrici sono per lui (e magari lo fossero solo per lui) quattro lesbiche scocciatrici di cui, in buona sostanza, non gliene frega niente a nessuno. E andate in pace. Tra le voci autorevoli che nelle ultime ore si sono alzate contro Belolli spiccano quelle di Manolo Gabbiadini e Francesco Totti.
Vogliamo riproporre la riflessione sulle parole di Felice Belloli dell’Atletico San Lorenzo, associazione sportiva dilettantistica che da due anni a Roma propone un modedllo di sport diverso, popolare e partecipato. L’Atletico San Lorenzo ha iniziato l’attività sportiva con la squadra di calcio a undici maschile che ora disputa la seconda categoria, per poi divenire una polisportiva. Nel calcio si è aggiunta la scuola calcio per bimbe e bimbi e la squadra di calcio a cinque femminile. Donne che giocano con i colori dell’Atletico anche a basket insieme con la squadra maschile.
A intervalli più o meno regolari siamo costretti a stupirci per le uscite improvvide e avvilenti dei maggiorenti del calcio nazionale. Oggi tocca al fino ad ora sconosciuto Felice Belloli, nientepopodimenoche colui che ha sostituito Carlo Tavecchio alla guida della LND. Il nostro referente diretto, in buona sostanza. Ebbene, il buon Belloli – come ormai tutti sanno – è sbottato durante il Consiglio Direttivo del Dipartimento del Calcio Femminile tuonando: “Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche!” con tanto di solerte personale a registrare il tutto nel verbale della seduta il 5 marzo scorso.
L’ufficio indagini della FIGC ha aperto un’inchiesta. Degli eventuali, risibili ed evanescenti meccanismi di funzionamento della giustizia sportiva siamo tutti a conoscenza e – ovviamente – non ci aspettiamo un granché.
Ci preme di più marcare ancora una volta la differenza, tracciare una chiara linea di demarcazione, manifestare contrarietà oltreché discontinuità rispetto alle logiche del calcio attuale. Attuale e non moderno. Perché questo è un calcio anti-moderno: è primitivo nella cultura machista e omofoba che lo pervade, è feudale nella logica delle spartizioni del denaro e delle poltrone e nell’esercizio autocratico e opaco del potere.
Con fatica, ma con entusiasmo l’Atletico San Lorenzo da due anni a questa parte rema contro tutto questo. È nato ed ha scelto di avere come obiettivo la restituzione del calcio (in un primo momento, ora siamo una polisportiva) a chi ne è stato espropriato, il popolo. Quello che lo gioca e lo ha giocato fin da bambinA. Quello che lo ha colorato riempiendo da sempre i settori popolari degli stadi, le curve, le gradinate, le terrace, e da cui viene cacciato, stretto tra la repressione e i costi in aumento – ormai inaccessibili ai più. Quello che ne ha ancora una visione romantica e contemporaneamente sociale, che ancora ne vede la funzione aggregante ed educativa.
Cogliamo questa in-Felice imbeccata di Belloli per una riflessione sullo sport femminile in genere, dal basso della nostra relativa esperienza. Nella polisportiva dell’Atletico San Lorenzo sono due le compagini femminili, il basket e il calcio a 5 e le ragazze hanno dimostrato nel corso di questa stagione entusiasmo, costanza e voglia di migliorare e mettersi in gioco.
Mentre lo sport femminile è praticamente assente dai media, rimanendo stretto in una morsa che vuole farne da un lato una mera copia conforme dello sport maschile sebbene “più lento”, “con prestazioni inferiori” e il suo corollario di stupore di fronte a una ragazza che “coi piedi sembra un uomo”. Dall’altro la figura dell’atleta donna è stereotipata fin dall’infanzia con i genitori tutti attenti nel farne una pattinatrice, danzatrice o pallavolista. E questi sembrano essere gli unici sport di cui di tanto in tanto si ricordano le televisioni e i giornali assieme alla patetica e pruriginosa attenzione rivolta alle attività di Federica Pellegrini “quando non nuota” (non ce ne voglia la pluricampionessa). E intanto migliaia di donne si allenano ogni giorno, strappando il tempo alla routine quotidiana, al lavoro, alla famiglia e alle attività di cura cui la società retrograda di Belloli le rinchiude senza soluzione di continuità da secoli. Sono le donne che raggiungono le medaglie olimpiche, i bronzi mondiali (come l’Under 17 di calcio femminile l’anno passato in Costa Rica), ma anche quelle che gareggiano in categorie minori solo per assecondare una passione.
Inoltre non riteniamo sia un caso che questo genere di esternazioni insultanti finisca per riguardare atlete di uno sport come il calcio, che insieme al basket e al rugby sono nell’immaginario collettivo da declinarsi esclusivamente al maschile. Il signor Felice Belloli – tristemente – non rappresenta una voce fuori dal coro, ma la voce “più autorevole” (a rigor di organigramma) del coro di ieratici bigotti che formano il sentire comune. Dunque, seppur giusto e necessario sia richiedere l’allontanamento – e non le dimissioni – di questo infelice personaggio, è ora di lavorare concretamente e dal basso per disincrostare l’ambiente sportivo e la società tutta da questi pregiudizi sessisti che fanno il paio con il razzismo dilagante.
Opti-Poba è lesbica.
E di fronte a chi in queste settimane ha individuato come soluzione possibile alla subalternità il riconoscimento del professionismo anche per le atlete – ricordiamo che nessuna disciplina sportiva femminile lo prevede – ci viene il dubbio che proprio il professionismo possa essere tra le cause dei tanti mali che affliggono lo sport mainstream, dal doping alle scommesse.

