Resistenze

Pubblicato il 13 novembre 2011 | da Amedeo Ciaccheri

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Storie di bande e romanzi criminali

Memorie Criminali e ruolo dei media: intervista a Claudio Dag

Fin dall’inizio del nostro lavoro editoriale come redazione di Core abbiamo deciso di valorizzare percorsi di narrazione e memoria all’interno del nostro giornale, sicuri dell’importanza per il nostro territorio di una continua discussione del suo passato per una migliore comprensione dei fenomeni del presente. In questo articolo abbiamo azzardato una scelta e abbiamo deciso di occuparci anche noi del caso Romanzo Criminale, l’opera letteraria di G. De Cataldo divenuta nel corso di questi ultimi anni un film, ma sopratutto un prodotto televisivo che ha rilanciato all’attenzione pubblica le vicende di cui è stata protagonista la cosiddetta Banda della Magliana, gruppo criminale attivo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90. Per fare ciò abbiamo intervistato Claudio Dag, profondo conoscitore della memoria popolare dei nostri quartieri, per avere un parere e tentare un’analisi con lui del successo diffuso di questa nuova narrazione della storia criminale della nostra città. Innanzitutto Claudio proviamo a riguardare quegli anni; al suo esordio come gruppo criminale, l’esperienza della Banda della Magliana destò in quei mesi lo scalpore e l’attenzione mediatica che ora le attribuita da questa ricostruzione romanzata? La storia della Banda della Magliana parte diciamo negli ultimi anni del ’70 e si caratterizza come una esperienza criminale nuova per Roma, mettendo insieme esponenti della malavita provenienti da diverse zone della città, ma con un nucleo forte di criminali che erano cresciuti e vivevano nella zona sud-est della capitale. Nonostante però la fama che le viene oggi attribuita, la cronaca giornalistica di quei giorni era molto più colpita dalle gesta eclatanti di altre bande criminali che operavano a livello nazionale, come il ruolo di Turatello o di Vallanzasca, o ancora il fenomeno diffuso dei sequestri di persona. L’attenzione conquistata dalla Banda della Magliana è un fatto in realtà recente, costruito a partire dal lavoro di De Cataldo, piuttosto che un eredità delle cronache di quegli anni; la storia complessa di questo gruppo criminale, legato e sostenuto dalle grande organizzazioni mafiose del sud italia e allo stesso modo dai Servizi Segreti italiani, è una storia di controllo del territorio e vita di strada, che poco spazio conquistò sui giornali dell’epoca. La storia di questa banda è una storia di personaggi ambigui, che non tratteggia modelli di eroi maledetti, bensì mette a nudo figure negative impegnati nel tradimento e nella lotta reciproca; nonostante ciò i personaggi del Romanzo Criminale sono riusciti ad affascinare sopratutto i più giovani dettando una sorta di stile di comportamento ed un appeal inaspettato. Come leggi questo successo? Credo che nel successo di Romanzo Criminale siano da individuare due motivi distinti e centrali. Il primo è lo stile del racconto sopratutto nella sua versione televisiva, piuttosto che nel testo letterario o nel film; il secondo è il modello che incarnano i personaggi della “Banda”. Di sicuro la struttura narrativa della serie tv, oltre che la sua ottima produzione tecnica, hanno aiutato il successo del romanzo. Quasi come un feuilleton ottocentesco, la trasposizione a puntate del testo ha contribuito al successo del prodotto, ben più coinvolgente dell’estrema sintesi del film, e più immediata dell’opera letteraria. Romanzo criminale sotto questo punto di vista rappresenta davvero in questo modo un esempio di grande romanzo d’appendice dei nostri giorni. In secondo luogo credo che si potrebbero guardare i personaggi di questo Romanzo Criminale in due modi, vicini ad una sensibilità tutta contemporanea. Da un lato l’eroe fuorilegge di questo romanzo è personaggio che cresce sotto due imperativi fondamentali; cerca infatti l’acquisizione di sempre maggior potere nei confronti dei propri compagni e dell’ambiente che frequenta. Il tentativo di amplificare il proprio potere va di pari passo però con la necessità e la ricerca di un’impunità rispetto tutti i rischi del mestiere, mettendolo a riparo dalla legge ordinaria e consegnandogli la sensazione di una libertà illimitata; un comportamento che assomiglia molto a quello di tanti inquisiti famosi di questi anni, per esempio del mondo della politica. Poi, cambiando angolo di lettura, vedo questi personaggi molto vicini ai modelli proposti dalla recente cultura da stadio: la narrazione televisiva infatti mi sembra sia molto prossima a quel meccanismo identitario tipico della cultura Ultras, fondato sulla coesione tifosa e sul rifiuto ostile di alcuni elementi, quali le forze dell’ordine, i comportamenti infami ed ogni tentativo di omologazione, il tutto unito alla pretesa facile di un diritto al lusso e alla bella vita. Un modello segnato da un’ ispirazione “nichilista” cruda, restia a gerarchie, se non occasionali, sempre estranea a ogni tentativo di dare senso alle proprie azioni. Riconoscersi nei cosidetti eroi della Magliana, è comunque, alla fine dei conti, subire il fascino d’una traduzione di certi personaggi molto postmoderna, poco fedele a ciò che erano e molto più affine ad alcune categorie negative del nostro presente. Loro, “tufellanti” o “maglianesi” che siano, con i tratti romantici dell’eroe fuorilegge o ribelle del novecento c’entrano veramente poco.




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